“Il mondo nuovo” di Ettore Scola

di

Davide Rossi

 

Abituati a una cinematografia recente spesso frammentata, si resta estasiati di fronte alla stupenda bellezza, alla ricchezza di immagini, di scrittura, di fotografia, di minuziosa, fedele e affascinante ricostruzione storica, anche dei più piccoli dettagli, di scelta accurata delle inquadrature de “Il mondo nuovo” del 1982 di Ettore Scola, presentato in concorso al 35º Festival di Cannes. Il film racconta ventiquattro ore, quelle della fuga dei reali da Parigi a Varennes durante la rivoluzione francese, “La notte di Varennes” è infatti il titolo francese, che rimanda all’ispiratore romanzo omonimo di Catherine Rihoit. La pellicola è aperta e chiusa da un circo ambulante che popolarizza gli avvenimenti del tempo a uso dei passanti dei quais della Senna, principalmente lavoratori e persone di umile condizione, intrattenute dal capocomico, un effervescente Enzo Jannacci. Tuttavia l’intera narrazione è guidata dall’attento sguardo indagatore del mondo di un cronista e storico quale Restif de la Bretonne, un magistrale Jean-Louis Barrault. Restif de la Bretonne, detto il “Voltaire delle massaie” e il “Rousseau dei poveri” dai suoi detrattori, i quali in ogni caso ne riconoscevano le qualità divulgative del libero pensiero, è conosciuto per i suoi scritti erotici, ma è stato soprattutto un acuto osservatore della società del suo tempo, disincantato narratore della sua contemporaneità. In una delle sue celebri peregrinazioni notturne, che gli sono valse il soprannome di “Gufo”, nella notte più breve dell’anno, tra il 20 e il 21 giugno del 1791, intuisce che dal palazzo reale qualcuno d’importante se ne sta andando. Inizia così quello che oggi si definirebbe un “road movie”, ovvero un inseguimento, però in carrozza, ma che in realtà è molto di più, non solo perché i passeggeri nei loro dialoghi squadernano per intero la complessità dei cambiamenti imposti dalla Rivoluzione, ma perché fuori dalle loro carrozze le masse contadine sfiancate dal lavoro e dal caldo estivo e per secoli senza nome, diventano soggetto storico, con tutta la violenza e le contraddizioni di un’epoca di radicali cambiamenti.

Sulla carrozza, mentre la presenza di  Restif de la Bretonne e poi di Casanova abbattono le esili resistenze dell’ipocrisia moralistica, si alternano, con tutte le loro miserie, rappresentanti di quella borghesia che ha già in orrore ogni giacobina richiesta di eguaglianza. Della carrozza è anche la contessa Sophie de la Borde, una sempre sensuale Hanna Schygulla, accompagnata dal suo parrucchiere personale, amica d’infanzia di Maria Antonietta e sua coetanea, anche lei in Francia dall’età di quindici anni per offrire alla regina compagnia nella nativa lingua tedesca, terribilmente incapace di comprendere come il mondo non si esaurisca nella corte di Versailles, ma sia infinitamente più vasto e plurale. Con loro Thomas Paine, nei suoi panni Harvey Keitel, rivoluzionario statunitense amico di Lafayette, autore in quel 1791 de “I diritti dell’Uomo”, libro allora di immenso successo larghissima diffusione, convinto della possibilità di coniugare libertà individuali e loro dimensione proprietaria e libertà collettive e loro dimensione sociale, aspirazione ammirevole, ma difficilmente realizzabile, come la storia francese e quella del mondo nei due secoli seguenti a quegli avvenimento ha dimostrato.

Marcello Mastroianni è un anziano e disincantato Giacomo Casanova, non ama la Rivoluzione, perché non ama la sua vecchiaia piena di acciacchi e così povera di carnalità, il suo sguardo acuto e intelligente gli permette di intuire in anticipo la complessità degli esiti degli eventi, così come sempre è stato capace di cogliere in profondità le dinamiche psicologiche dei suoi interlocutori, qualità che gli ha permesso di esser qualificato come “indovino”, quando più semplicemente è stato un osservatore avvertito del mondo e della realtà. L’alterco tra Casanova e il giovane rivoluzionario che amoreggia con l’affascinante ragazza d’origini africane, inserviente della contessa, più che politico è generazionale. Casanova osserva il suo declino e si consola con pantagrueliche mangiate, addebitate con lettera di procura, un assegno ante litteram, al suo ultimo mecenate, il conte Josef Karel Valdštejn, per il quale assolve svogliatamente al compito di curatore dell’imponente biblioteca di oltre quarantamila opere nel castello patrizio di Duchov. L’ignominiosa fuga dei monarchi e il loro arresto chiude la pellicola e al contempo una stagione della Francia e dell’Europa. È quella notte per Scola il vero momento epocale di passaggio a “Il mondo nuovo”.