Venezia 73° Mostra d’Arte Cinematografica

 

di

Federico Brambilla

 

Certamente controverso il messicano “La region selvaje” di Amat Escalante prossimo alla lezione cinematografica e ad al mondo spietato, carnale, sull’orlo del baratro, di un altro messicano, Carlos Reygadas. Il film è provocatorio e senz’altro ermetico a tratti inintellegibile, ma non per ciò respingente. Partendo dalla cronaca, Escalante costruisce un ritratto sociologico di forza perturbante e universale senza tesi da dimostrare o interpretazioni da suggerire.
Interpretazioni che non suggerisce neppure “Austerlitz” di Sergej Loznitsa, se non quelle che sorgono spontanee, drammatiche, necessarie dall’osservazione comportamentista di un “obbligo” di visita, dei lager, nel film, ma ugualmente di tutto ciò che è “storia”, e che non sembra nient’altro che un’espiazione. Ed è certo un’espiazione che cerca, in senso lato, la protagonista del film vincitore con merito della Mostra “La donna partita” di Lav Diaz, espiazione di una colpa non propria, l’assenza, che cerca una riconciliazione (im)possibilie in un’opera immersiva, coinvolgente, catartica, sofferta, visivamente potente. Qualità, quest’ultima, che non manca indubbiamente a “Ragazzi tra gli alberi” dell’esordiente Nicolas Verso, film peraltro manchevole nella costruzione drammatica, perso in un febbrile quanto sterile crescendo para-psicologico che somiglia tutt’al più ad un’occasione perduta. Tutto all’opposto della sorprendente opera prima Liberami” di Federica Di Giacomo, grottesca ed efficace summa postmoderna in cui l’esorcismo si recupera come nuova “formula” di assistenza ai disagi della contemporaneità, con una lucidità notevole.