Viktor Gjika, il più grande regista albanese

 

di

Davide Rossi

 

Nel 2006 ho avuto la fortuna d’incontrare a Tirana Viktor Gjika immergendomi nella storia del cinema albanese, affascinante e straordinaria. Il Kinostudio apre nel 1952 e inizia a produrre documentari. Gjika è parte di questa avventura come giovane operatore, nel 1954 viene mandato a studiare presso la scuola cinematografica di Mosca, all’epoca universalmente considerata una delle migliori del mondo e vi resta sino al 1960, fortunatamente riesce a concludere gli studi poco prima della rottura sovietico – albanese. Nel 1957 intanto un grande avvenimento: è stato girato il primo film albanese: “Tana” la cui sceneggiatura è opera di un amico dello scrittore Shuteriqi, il giovane Nasho Jorgaqi, regista Kristaq Dhamo, narrazione con molti balli popolari di un amore tormentato in un villaggio agreste. Dal 1957 al 1991 l’Albania produce oltre trecento film, nel successivo quindicennio ne ha prodotti meno di una ventina. Titoli e storie di questa vasta produzione in epoca socialista meriterebbero una vera e propria storia del cinema albanese. Basterebbe pensare che tra il 1960 e il 1978 i film albanesi sono stati i soli film stranieri proiettati in Cina e ancora oggi molti celebri registi orientali dichiarano apertamente di essersi appassionati e formati guardando le pellicole prodotte in riva all’Adriatico, capaci di coniugare, in quel tempo, le obbligatorie esigenze ideologiche con una forte sensibilità ispirata al neorealismo italiano. Qui potrebbero essere citati titoli e titoli, come il celebre “Fronte contro fronte” tratto dal romanzo “Il grande inverno” di Kadare, ma per restare alla sola produzione di Gjika nel 1966 realizza “Il commissario della luce” dedicato ad una storia d’amore tra due ragazzi nell’immediato dopoguerra, mentre nasce la prima scuola del villaggio e ne diventano gli insegnanti, girato in collaborazione con il regista Dhimiter Anagnosti, nel ’68 “Gli orizzonti aperti” che spiega con partecipazione e profondità la vita in quegli anni degli operai dell’immenso cantiere di Durazzo, e di seguito “Ottavo il bronzo” dedicato alle memorie partigiane, quindi “Le stelle della nottata”, nel ’74 “Le strade bianche”, amore e lavoro, fatica e coraggio, la vita nei lunghi inverni nelle zone di montagna attraverso la vita di due giovani del servizio telefonico, centralinista lei, tecnico addetto a riparare i guasti sotto la neve lui, “L’uomo cannone” dedicato ad un militare italiano che partecipa alla lotta di liberazione e nel 1944 sceglie di restare in Albania tra i contadini con cui ha combattuto, nel ’76 “Confronto”, nel ’79 “Generale grammofono” con il celebre clarinettista Laver Bariu, dedicato all’incisione da parte del governo fascista alla fine degli anni venti dei canti popolari albanesi con un’alterazione delle melodie, in modo da avvicinarle alle più importanti canzoni fasciste e preparare in qualche modo l’aggressione militare e l’invasione che sarebbero avvenute nel 1939. Nell’80 “In ogni stagione” (Ne çdo stine), con protagonista Arben Imami, oggi politico, interamente dedicato alla gioventù albanese, alla vita, agli studi universitari, ai sogni delle nuove generazioni che non hanno vissuto la Resistenza ma vivono e si amano nella capitale, tra lezioni, sport, serate al cinema al palazzo della cultura, gite al mare e tramonti. Un film bellissimo, emozionante, coinvolgente, grazie anche alla colonna sonora scritta da Aleksander Peçit. Sorridendo Viktor Gjika ha affermato: ”un tempo avevamo qualche vincolo di troppo alla nostra creatività, ma abbiamo prodotto dei film di qualità che ancora sono apprezzati ed anche trasmessi in televisione con regolarità, oggi nessuno sostiene le nostre proposte e i nostri progetti e la maggioranza dei registi è senza lavoro.”   “In ogni stagione”, quando passa alla televisione, è sempre lo spettacolo più visto della serata. Ancora si potrebbe aggiungere della larga produzione di film storici, di film per l’infanzia, a partire da quelli realizzati dalla regista Xhanfize Keko. Nel suo insieme insomma un patrimonio cinematografico d’immagini e storie affascinati e di enorme valore, parte di quella cinematografia dei paesi socialisti che ha rappresentato una delle forme culturali più importanti e profonde del Novecento.