Festival Locarno 2017

di

Teresa Patrignani

 

Il 71° Festival di Locarno ha visto premiati: “A land imagined” del giovanissimo regista Yeo Siew Hua, vincitore del meritato Pardo d’Oro, un giallo ambientato a Singapore che viaggia su due binari, da un lato una  narrazione  onirica tra  sparizioni e atmosfere d’ispirazione lynchiana, dall’altro il realismo con cui descrive le condizioni di lavoro e sfruttamento di emigranti pakistani e bengalesi  in un cantiere edile della megalopoli.

Pardo per la miglior interpretazione femminile all’attrice romena Andrea Guti protagonista  di “Alice T.” che presta il suo volto allo sgradevole personaggio di una ragazza sedicenne adottata, egocentrica e bugiarda tra crisi adolescenziali e conflitti familiari. Pardo per la migliore interpretazione maschile all’attore teatrale e cinematografico sudcoreano Ki Joo Bong per il film “Gangbyun Hotel” in cui interpreta un poeta che trascorre una tranquilla villeggiatura nel biancore di un malinconico albergo sulle rive di un fiume. Il bilancio della sua vita, l’incontro con i figli venuti a trovarlo, le conversazioni rarefatte con due donne anch’esse ospiti dell’hotel e un epilogo inaspettato compongono l’insieme di questa opera. Premio speciale della giuria alla regista Yolanda Zaubermann che firma “M”.  Il documentario racconta le violenze sessuali sui minori a Bnei Brack, la capitale degli Haredi, gli ebrei ultra-ortodossi, “i timorati di Dio” in ebraico.  Il narratore – protagonista ritorna dopo anni nei luoghi della sua infanzia abusata per cercare le altre vittime, ma anche i carnefici che hanno agito nell’omertà della comunità integralista. Girato interamente di notte e volutamente scevro da ogni giudizio etico o di denuncia che ne accresce la crudezza delle descrizioni, è un vero e proprio viaggio negli inferi di  una  memoria  orribilmente  ferita  nella sua innocenza.Pardo per la miglior Regia alla regista  Dominga Sotomayor con “ Tarde para morir joven”, film naif e sconclusionato, descrive la vita di un gruppetto di famiglie fricchettone nel Cile degli anni ‘90 completamente decontestualizzato politicamente. Con”BlacKkKlansman” Spike Lee ha vinto invece il premio del pubblico. Un film che prende spunto da una storia vera ed esplora i meccanismi interni di funzionamento del potere e la tolleranza dello Stato americano verso il Ku Klux Klan. Il tutto con lo speciale tocco di fantasia e umorismo di un grande regista che parlando del passato, fa  irrompere il presente  nelle scene finali, vere stavolta e non solo  di finzione cinematografica. Vincitore di Sign of life il film cinese “ Haishang chengshi” (The Fragile House) del regista Lin Zi  affronta il tema della crisi nella Cina di oggi: la banca non dà prestiti, il datore di lavoro non è in grado di pagare i dipendenti  e la vita familiare si complica proprio nella notte di Capodanno. Sempre nella sezione Sign  of life vale la pena soprattutto di ricordare il cortometraggio “Como Fernando Pessoa Salvou Portugal” del francese Eugene Green. L’eclettico poeta a sua insaputa, salvò il Portogallo dall’invasione della Coca Cola e, a sua insaputa, rischiò di far cadere la dittatura. Delizioso e divertente. Tra i film italiani “Menocchio” di Alberto Fasulo, storia  di un mugnaio  del Friuli processato per eresia, ambientato nel ‘500, con una splendida fotografia, ci restituisce volti che sembrano tratti da dipinti di Durer e di Bosch e ci interroga su un’esperienza di libertà e orgoglio in un un’epoca buia. “Sembra mio figlio” di Costanza Quatriglio racconta la storia un rifugiato afgano in Italia, appartenente agli Hazara, una popolazione che vive nell’Afghanistan centrale, di probabile origine mongola, perseguitati da secoli, vittime di genocidio prima per mano dei  Pashtun che  ne hanno ucciso quasi il 60%  e poi dei Talebani. Il retroterra storico emerge durante lo svolgimento  del film e si materializza principalmente nel racconto delle torture subìte dal fratello del protagonista, anch’egli rifugiato in Italia.  Ismail, il protagonista, cerca di lasciarsi alle spalle il passato e di condurre una nuova vita inserendosi nella realtà del paese che l’ha accolto. Tuttavia sia  il ricordo della madre che lo riporta  costantemente alle proprie radici sia il senso di colpa verso il fratello Hassan  nel frattempo scomparso, lo spingono a partire per il Pakistan in cerca dei propri legami familiari e del suo popolo. Una storia struggente e delicata. Di registro completamente differente, la graziosa commedia “L’ospite” di Duccio Chiarini, ritratto di una generazione di trentenni-quarantenni precari nel lavoro, ma anche negli affetti dove  le figure maschili appaiono  spaesate e inconsistenti, la cui casa dei genitori è comunque sempre pronta ad accoglierli. Molto varia ed interessante è stata quest’anno la sezione Open Doors  con opere provenienti da Afghanistan,  Bangladesh , Bhutan, Nepal, Myanmar , Pakistan e Sri Lanka. Tra queste “The Road to Mandalay”, una co-produzione Taiwan/Birmania/Francia/Germania del regista Midi Z, che narra una storia di migrazioni interne al sudest asiatico: i protagonisti sono giovani birmani attratti dalla vicina Thailandia, il cui obiettivo primario è la ricerca di un lavoro per sopravvivere e per sostenere le famiglie rimaste nel loro paese. Ma il tentativo di ottenere l’agognato permesso di soggiorno si spezza per l’enorme corruzione che caratterizza ogni settore dello stato thailandese e che, sommata all’assoluta discrezionalità che impongono i datori di lavoro, mantiene nell’incertezza le loro esistenze. “Laila at the Bridge”, produzione Canada/Afghanistan, regia dei coniugi afgani Gulistan ed Elizabeth Mirzaei, è un docu-film che ci porta a Kabul dove la  protagonista Laila, “la madre dei tossici” raccoglie eroinomani ridotti a vivere per strada, sotto un ponte della città  tra sporcizia, miseria e abbrutimento. La donna si muove da sola nel paese che ancora oggi è il maggior produttore al mondo di oppio e dove il traffico di questa sostanza continua a crescere in maniera esponenziale al di là delle dichiarazioni ufficiali del governo. Una donna abituata a discutere con il potere, capace di farsi rispettare e di trovare le risorse economiche per mandare avanti la propria battaglia personale. “Munmotashikhyidron “ di Dechen Roder,è un  giallo condito d’esoterismo sulla scomparsa di una monaca buddista in un remoto villaggio del Buthan, paese sconosciuto e misterioso. “Setosurya”  del regista Deepak Rauniyar ambientato nel Nepal post guerra civile, vede  un uomo che ha combattuto con i ribelli maoisti tornare al suo villaggio natale per il funerale del padre. Ma il trasporto della salma incorre in innumerevoli peripezie che tra il comico e il tragico ci restituiscono uno spaccato sulla vita e sulla storia degli ultimi tormentati  anni della storia  nepalese. Su chi meritasse il premio per miglior interprete assegnerei senza dubbio un Pardo allo straordinario attore belga Olivier Gourmet (già amato dai Dardenne) con il film” Ceux qui travaillent “di Antoine Russbach in cui presta  il volto al cinico manager di una multinazionale   e all’ attrice turca Damia Somnez per la sua interpretazione  della ragazza muta nel film – fiaba ”Sibel” dei registi Caglia Zencirci  e Guillaume Giovanetti.