Campanini e l’Islam, religione dell’Occidente

di

Davide Rossi

 

 

Li-kullin wijhatun

huwa muwalliha

fa’stabiqu’l-khayrati

 

Tutti hanno una direzione

E Dio ne è il garante.

Perseverate dunque nel bene.

 

(Corano, Q. 12:48)

 

 

 

Le religioni sono parte dell’identità personale e collettiva dei popoli. Nello spazio euro-mediterraneo Ebraismo, Cristianesimo e Islam convivono nella stessa area geografica da secoli. Non sono mancati attriti e guerre in passato e purtroppo non manca chi oggi alimenta con violenza e con odio i contrasti e le contrapposizioni. Tuttavia sarebbe auspicabile che le religioni e la loro profonda dimensione culturale diventassero parte di un patrimonio condiviso di questo spazio geografico. È evidente che - per manifeste dimensioni demografiche - il futuro di questa parte del mondo, Europa compresa, sia da riconoscere principalmente nell’Islam. Milioni di giovani che nel bacino del Mediterraneo vivono senza acqua corrente, potabile e calda e senza luce elettrica, sanno che dall’altro lato del mare questi diritti minimi sono garantiti a tutte e tutti e raggiungono così, a rischio della vita, un continente per altro sempre più vecchio e astiosamente incapace di capire il domani.

Massimo Campanini, con una profondità straordinaria, ci apre squarci sul futuro attraverso il saggio “L’Islam, religione dell’Occidente”, editato da Mimesis. Il suo approccio è rispettoso non solo delle religioni in questione e della loro dimensione culturale, ma anche della tradizione culturale occidentale, emancipandosi tuttavia degli scadimenti laicisti che ne hanno alterato, negando ogni dimensione spirituale, la capacità di dialogo, con l’involontario e tragico risultato di piegare il pensiero occidentale alle necessità del capitalismo consumista, assurto demenzialmente in molti casi a identità unidimensionale del cittadino occidentale, per altro un’identità deprivata di qualsiasi ancoraggio etico e valoriale.

Campanini con questo straordinario saggio riannoda in un comune percorso la prossimità delle rivelazioni e delle religioni abramitiche. Abramo, Avraham, Ibrahim è uno solo ed è il padre comune dell’universo religioso euro-mediterraneo Non parlava, ammesso che davvero interloquisse col divino, a giorni alterni con le divinità dei tre monoteismi, ma con un unico creatore chiamato Dio, Elohim, Allah.

Ricercare allora gli elementi di contatto tra le tre religioni e le culture di cui sono portatrici, nel momento stesso in cui si è chiamati a comprenderne rispettosamente le differenze, è il compito che si è dato l’autore.

Spiega Campanini: “L’aspetto di interazione più fecondo è sicuramente la migrazione delle idee: prima dal mondo greco all’Islam, quindi dall’Islam al mondo latino e all’Europa moderna. Il patrimonio della filosofia e della scienza greca, da Aristotele a Euclide, da Tolomeo a Galeno, fu salvato dall’Islam dal disastro del crollo del mondo antico; e l’Islam, attraverso la mediazione della Spagna e della Sicilia soprattutto, terre di confine e di interazioni culturali, trasmise Aristotele e la scienza greca alle Università europee, da Parigi a Oxford a Padova e Bologna. A Toledo e a Palermo, tra XI e XII secolo si tradussero, insieme ai classici greci, i libri degli arabi, cioè dei musulmani, persiani compresi. Arabismo, come ricorda Abelardo di Bath, era sinonimo di scienza e di razionalità agli inizi del XII secolo. Quando Abelardo scrive il Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano, il filosofo, cioè il portavoce della razionalità, è un musulmano. I commentari di Averroè ad Aristotele furono libri di testo nelle Università europee fino al Cinquecento. Sempre nel Cinquecento, un bellunese, Andrea Alpago, medico della missione veneziana a Damasco, traduceva per l’ennesima volta dall’arabo il Canone di Avicenna, il più importante libro di medicina di tutto il Medioevo. La cosmologia di Dante nella Divina Commedia è pregna di suggestioni arabe: la struttura concentrica dei cieli, con la Terra in mezzo e l’Empireo, sede di Dio, oltre la sfera delle stelle fisse e del primo mobile fu elaborata innanzitutto dai filosofi e dagli astronomi arabi, cioè musulmani. Anzi, alcuni studiosi italiani e spagnoli già molti anni fa hanno affermato che Dante ebbe l’idea di scrivere la Commedia perché aveva letto il Libro della scala, un’opera araba che narrava dell’ascesa al cielo del profeta Muhammad. Il linguaggio anche quotidiano dell’Europa di oggi è infarcito di termini arabi o persiani o turchi: divano, carovana, magazzino, ammiraglio, nafta, alcool, albicocca, limone, carciofo, zucchero, zafferano, chimica, algebra, zero, scacco matto (shah mata, il re è morto)... sono solo alcuni esempi comuni, per non citare i più astrusi come macabro, alambicco, algoritmo o serraglio. Ciò non ha interrotto tuttavia una continua dialettica dell’alterità. Europa e mondi musulmani, in particolare i mondi musulmani mediterranei, hanno sempre rivendicato, l’uno nei confronti dell’altro, qualche volta con durezza, la propria identità e la propria specificità. L’Europa ha scoperto di essere tale grazie alle Crociate, un’aggressione al mondo musulmano in nome della religione; una parte dell’Islam rivendica in modo talora aggressivo, fino al terrorismo, la propria tradizione culturale nei confronti di una modernità europea che sembra espropriarla. Come ha scritto il sociologo Enzo Pace: Se lo stereotipo occidentale dice che l’Islam è contro la modernità, lo stereotipo che una parte del mondo musulmano oggi tende ad avere è che la modernizzazione è in qualche modo un potente meccanismo di espropriazione dell’identità culturale e religiosa dei popoli che si rifanno all’Islam.”

Campanini chiarisce ad esempio in modo magistrale la relazione tra Gesù e Muhammad, il Corano e i Vangeli:  Mi spiego meglio riprendendo e puntualizzando più chiaramente la disimmetria che esiste tra Gesù e Vangeli, da un lato, e Muham­mad e Corano, dall’altro, e ancora tra gli stessi Gesù e Muhammad. Per quanto possa sembrare sconcertante trattandosi in entrambi i casi di testi sacri, i Vangeli devono essere fatti corrispondere alle biografie di Muhammad, non al Corano. È piuttosto Gesù che deve essere paragonato al Corano. In altri termini: Gesù corrispon­de al Corano, rappresentando la parola (Logos dirà Giovanni) di Dio, mentre i Vangeli corrispondono alle biografie storiche di Muhammad, in quanto narrazioni storiche della vita di Cristo. Que­sto implica che il Corano goda di una sacralità maggiore dei Vangeli, mentre è Gesù, figlio di Dio, a godere di una sacralità cui Muham­mad, semplice uomo, non può in linea generale aspirare. Analoga­mente, in potenza, il Corano è più sacro di Muhammad, mentre Gesù è certamente più sacro dei Vangeli. Si tratta di una divaricazione fondamentale e teologicamente pregnante tra Cristianesimo e Islam. Nel Cristianesimo è possibile una cristologia filosofica, nell’Islam bisognerà parlare di coranologia filosofica.”

Campanini ci aiuta anche a smontare pregiudizi purtroppo radicati, spiega: “La credenza che l’Islam sia automati­camente religione e stato (din wa dawla), laddove è certamente religione e mondo/società (din wa dunya), deve essere sfumata nel senso che significa più teocentrismo che teocrazia. Teocrazia certo significa che lo stato è subordinato alla religione; ma nell’I­slam parlare di subordinazione tra i due ambiti, sia della religione allo stato sia di quest’ultimo alla prima, è fuorviante poiché i due ambiti sono considerati in un rapporto di integrazione, non di oppo­sizione. D’altronde, la teocrazia implica una struttura ecclesiastica e nell’Islam, almeno in quello sunnita, non esistono vere e proprie strutture ecclesiastiche. Il teocentrismo islamico piuttosto implica che Dio, e non l’uomo o una qualsiasi istituzione umana, pur uni­versalistica come una Chiesa, si colloca al centro di ogni realtà an­tropologica e sociale.”

Campanini ricorda la dimensione fortemente politica e sociale dell’Islam, rivendica il carattere razionale e razionalistico del Corano, che trae ispirazione dal senso del divino per costruire giustizia, una dimensione etica che non rinuncia allo sforzo personale, generatore di una identità collettiva, scrive infatti: “è utile una breve parentesi sul concet­to di jihad. Nonostante dovrebbe essere ormai cosa scontata an­che presso il grande pubblico e certamente presso gli accademici, è bene chiarire subito che il significato proprio di jihād non è “guerra santa” ma “impegno”, “sforzo”, derivando nell’arabo classico da una radice verbale (j-h-d) che indica appunto l’impegnare tutto se stesso per un obiettivo: nel caso specifico è la strada maestra che consente al credente di compiacere Dio. Il termine è, infatti, qua­si sempre completato dalla locuzione fi sabil Allah, “sulla via di Dio”. Jihad vuol dire sforzo in tutti i sensi e in tutti i modi, e anche pregare è un jihad.”

Afferma Campanini: “Il messaggio di Muhammad era escatologico ma non messianico. La prospettiva politica si precisa invece a Medina dove la comunità dei credenti (umma) si costituisce anche in corpus politico, prefigurando quello che avrebbe dovuto essere lo stato islamico.” Ovviamente nel senso più alto del termine, non nelle aberranti degenerazioni odierne, inventate per destabilizzare e distruggere la Siria socialista.

Emerge una ricerca di giustizia e di equità, di costruzione di forme d’eguaglianza, una dimensione sociale e politica che appartiene senza dubbio all’Islam, ma che non è estranea al Cristianesimo.

Citando Giovanni Filora­mo, Campanini ricorda che: “i vari racconti concordano su un punto decisivo: Gesù era stato condannato a morte da parte dei Romani come ribel­le politico”, Campanini quindi argomenta: “Sono persua­so che molti, o almeno alcuni, tra i seguaci e discepoli di Gesù, lo avessero seguito proprio per fini politici, anche se politici non erano quelli di Gesù in persona. Tutto ciò comunque riconduce e radica Gesù nel suo contesto giu­daico. Gesù si rivolgeva alle pecore perdute del popolo di Israele (Mt. 10, 6). Il fatto che, alla morte di Gesù, il suo successore a Ge­rusalemme sia stato il fratello Giacomo, un uomo molto legato alle tradizioni giudaiche, conferma ulteriormente l’ebraicità del Messia, visto che Giacomo si erge come autentico interprete del suo messag­gio e propone un’immagine del Cristianesimo che media con le tra­dizioni giudaiche.

Campanini tra l’altro ci ricorda la dimensione non esclusivamente irenica del Cristianesimo, citando Matteo: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a por­tare non pace, ma spada. Sono venuto infatti a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera.” (Mt. 10, 34-36). Una rottura etica, come ricorda il giovane Hegel, per il quale Gesù supera “il legalismo ebraico in nome della religione vissuta, in cui non si obbedisce più al rito esteriore e alla Legge, ma all’input interiore che conduce il singolo a superare i vincoli dell’esteriorità”, abolendo irrigidimenti e dogmatismi. Campanini cita Antimo Negri, il quale così com­menta: “Onde l’universalità della legge morale: cosa che non può comprendere lo spirito nazionalistico giudaico o tedesco: l’univer­salità della legge morale, intanto, è la stessa universalità del messag­gio cristiano e l’universalità della ragione rivoluzionaria”. Riflette Campanini: “Hegel cambierà opinione in modo radicale saldando Cristianesi­mo e germanesimo, religione cristiana e Spirito assoluto, ma la sua Vita di Gesù si colloca storicamente in quel ripensamento dell’ere­dità kantiana che ha fatto della filosofia classica tedesca uno dei ver­tici maggiori del razionalismo occidentale. Kant ed Hegel sono stati due entusiasti sostenitori della rivoluzione francese, un avvenimento decisivo nella formazione della coscienza europea contemporanea.”

Il libro, che analizza stupendamente anche la Sura Aprente, si chiude con l’analisi della Sura al-Ikhlas, ovvero della "fede pura, la 112° e terzultima sura del Corano, tratta il tema del tawhid, ovvero l'unità e l’unicità di Dio: “Di’: Egli, Dio, è Uno, Dio, il samad, Non generò e non fu generato e non uno è pari a Lui. Campanini spiega l’attributo divino samad: “è uno dei più polisemici dei “bei nomi” riferiti a Dio, a partire dall’incerta origine semantica del termine. È stato perciò variamente interpretato. La varietà delle interpretazioni si riflette nelle traduzioni. Per limitarsi a quelle italiane, Bonelli, Bausani e Zilio-Grandi rendono il termine con “Eterno”; Mandel con “Inconoscibile”; Piccardo con “Assoluto”, ecc. Al-Ghazali lo interpreta come “Colui che soddisfa i bisogni”, oppure nel Maqsad al-asnà come “Colui cui si rivolge l’invocazione e l’adorazione”. Certi ismailiti lo intendono come “l’inconoscibile e impenetrabile”... Ma non vale la pena di proseguire: chiaramente samad finisce per dimostrare quanto inesprimibile e ineffabile sia l’essenza di Dio.”

Al proposito il grande filosofo e rivoluzionario sciita Ali Shariati così si esprime: “Tawhīd nel senso di unicità di Dio è un concetto accettato ovviamente da tutti i monoteisti. Ma il tawhīd inteso nel senso di concezione del mondo, come io faccio nella mia teoria, significa considerare l’intero universo come un’uni­tà, invece di dividerlo in questo mondo e in aldilà, in natura e sovra-natura, in sostanza e significato, spirito e corpo. Significa considerare l’intera esistenza come una forma singola, un unico organismo vivente, dotato di coscienza, vo­lontà, intelligenza, sentimento e intenzione. [...] La differenza tra la mia visione del mondo e quella del materialismo e del naturalismo risiede nel fatto che io considero il mondo come un essere vivente, dotato di volontà e di autocoscien­za, percettivo e provvisto di idealità e prospettiva. [...] Il Tawhīd indica una particolare visione del mondo che dimostra l’unità essenziale dell’esistenza, l’unità tra le tre separate ipostasi di “Dio, uomo, natura”.

In apertura del libro Campanini aveva affermato: Personalmente mi considero, usando un termine coranico, un hanīf (Q. 3:67 e Q. 30:30), ovvero un puro monoteista, e non mi riconosco automaticamente in nessuno dei tre monoteismi storici singolarmente presi, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, ma potenzialmente in tutti. Sono tra “alladhina yu’minuna bi-ma unzila ilayka wa ma unzila qablika”, ovvero tra “coloro che credono in ciò che è stato rivelato a te [Muhammad] e in ciò che è stato rivelato prima di te” (Q. 2:4).7 È perciò mia intenzione – e spero di riuscirci – applicare un metodo scientifico che non sia debitore di pregiudizi fideistici né di idola culturali.”

Massimo Campanini c’è sicuramente riuscito e ci indica in modo luminoso un percorso possibile per costruire una società plurale e rispettosa, un domani dell’Europa che non può prescindere dall’Islam.