Il palazzo dei sogni di Ismail Kadare

 

di

Davide Rossi

 

Nel 1978 Kadare scrive “Il ponte a tre archi”, romanzo storico che racconta l’invasione turca del 1377 e le cui vicende sono riprese in apertura de “Il palazzo dei sogni” del 1981, per ricordare l’origine della famiglia albanese dei Quprili, installatisi a Istanbul da tre secoli e con un cognome reso più turco in Koprulu, il cui discendente Mark Alem è destinato a lavorare presso il Tabir Serrail, ovvero il Palazzo dei Sogni, che sovraintende a una meticolosa rete di informatori che cerca di trarre informazioni e presagi dai sogni dei sudditi dell’impero ottomano, un palazzo in cui il tempo scorre seguendo altre leggi. Oltre la piazzetta semideserta in cui si staglia un minareto slanciato, ecco il palazzo, organizzato con corridoi gelidi e soffitti alti, una infinità di porte e altre corridoi lunghi e bui con altre decine di porte. Terrificato e scosso da un panico assurdo, il giovane trova alla fine un funzionario che gli spiega che è stato assunto in una “delle più grandi istituzioni del nostro stato imperiale, il primo nella storia universale ad aver portato a un grado tanto elevato la spiegazione dei sogni, istituzionalizzandola.” La spiegazione che il funzionario offre al giovane assunto è meravigliosamente affascinante: “L’idea che ha avuto il Sovrano nel creare il Tabir si basa sul fatto che Allah invia sogni annunciatori sulla superficie del globo con la stessa disinvoltura con cui lancia una folgore, disegna un arcobaleno o avvicina d’improvviso a noi una cometa tratta non si sa da quali misteriose profondità dell’Universo. Allah lancia dunque un segnale su questa terra senza curarsi del luogo in cui andrà a cadere, perché, lontano com’è, Lui non può occuparsi di particolari del genere. Spetta a noi scoprire dove si è posato quel sogno, sta a noi scovarlo, fra milioni e miliardi di altri, proprio come si potrebbe cercare una perla perduta in un deserto di sabbia. Infatti la spiegazione di quel sogno, caduto come una scintilla smarrita nel cervello di uno dei milioni di individui argomentati, può aiutare a prevenire la sventura del Paese e del suo Sovrano, a evitare la guerra o la peste, oppure a suscitare nuove idee. Ecco perché il Palazzo dei Sogni non ha nulla della creazione fantastica, ma costruisce un pilastro dello Stato. Qui, meglio che da qualsivoglia studio, verbale, rapporto d’ispettore, si valuta la vera situazione dell’Impero. Perché nel reame notturno del sonno si trovano sia la luce, sia le tenebre dell’umanità, il suo miele e il suo veleno, la sua grandezza e la sua miseria. Ogni passione o idea malefica, ogni flagello o crimine, ogni ribellione o catastrofe proietta necessariamente la sua ombra molto tempo prima di manifestarsi nella vita reale. Ecco perché il Padiscià pretende che nessun sogno, anche se fatto ai confini più remoti del Paese, anche nella più normale delle giornate e dalla creatura più ignorata da Allah, sfugga all’esame del Tabir Serrail.” I sogni sono così raccolti, catalogati, classificati, archiviati. Gli uffici della Selezione, dell’Accettazione, dell’Interpretazione sono così preposti alla ricerca del Sogno-Guida, che spieghi quanto sta accadendo nell’impero e quanto accadrà. Nel giro di pochi anni Mark Alem assurge, anche inaspettatamente ai vertici del palazzo, diventando a ventotto anni caposezione del Sogno-Guida, sa che deve occuparsi dei potenti dell’impero per i quali onori, cariche e influenti appoggi non erano sufficienti: “ciò che contava non era solo ciò che essi erano nella vita, altrettanto importante era il loro ruolo nei sogni altri.” Mark Alem si trova anche ad affrontare la resistenza del popolo albanese, che si ribella praticando un’insonnia collettiva e coriacea: “dopo il massacro dei rapsodi l’Albania era stata colpita da un’insonnia generale acuta e si protraeva, toccando dimensioni senza precedenti. Certo, non spettava al Palazzo dei Sogni ristabilire l’ordine delle cose, ma, per tutto il tempo in cui la situazione fosse stata così tesa, era suo dovere mostrarsi estremamente attento alla preparazione dei fascicoli relativi a quel sonno che diminuiva senza posa.” Mark Alem passa così ore e ore seduto alla sua scrivania, a leggere i resoconti dei suoi sottoposti e a redigerne per i suoi superiori, addetto a sorvegliare al sonno e ai sogni di tutto l’impero, infatti in quei fogli: “disteso, lugubre, c’era il sonno d’uno dei più vasti imperi del mondo, oltre una quarantina di nazionalità, quasi tutte le confessioni religiose e tutte le razze. Anche se i suoi rapporti avessero dovuto riguardare l’intero universo, i sonni del resto dell’umanità non vi avrebbero aggiunto gran cosa. C’era lì, sul suo tavolo, il sonno di tutto il pianeta, spaventose e infinite tenebre, un abisso senza fondo, in cui cercava di attingere qualche frammento di verità. Hypnos, padre di Morfeo e divinità greca del sonno, non ne sapeva certo più di lui riguardo ai sogni.” Un lavoro che mentre lo immerge nel mondo, dall’indipendenza greca alle tensioni nei Balcani, dai conflitti con la Russia alla permanente irrequietezza schipetara, lo estrania dalla vita, dal mutare delle stagioni, con i loro profumi e colori, dai sentimenti e dalle passioni che li accompagnano.