4 ottobre 1957 – 2017, 60° dello Sputnik:

“Ai cosmonauti”

di

Shagdarsurengijn Tsogt

 

 

La notte del 4 ottobre 1957 l’Unione Sovietica mette in orbita il primo satellite della storia costruito dagli uomini, chiamato subito “luna rossa”, il “bip bip” inviato dallo Sputnik (Спутник) apre la strada ad una serie di successi: il primo satellite atterrato sulla luna, il Lunik II nell’ottobre ’59, il primo uomo tra le stelle, Juri Gagarin il 12 aprile ’61, cosmonauta di un paese con la falce e il martello, patria di operai e di contadini, la prima donna su una navicella spaziale, due anni dopo, nel giugno ‘63, Valentina Tereskova.

Con queste parole salutavamo dieci anni fa il cinquantennale dello Sputnik e pubblicavamo la stupenda poesia “Alla luna” del Nobel Salvatore Quasimodo, in questo sessantesimo dell’inizio del cammino spaziale socialista, che si chiuderà con la messa in orbita della stazione orbitante MIR, la prima nella storia, nel 1986, lo salutiamo con le parole di un poeta mongolo, uno dei tanti che hanno contribuito al successo e alla conoscenza della cultura mongola nei tempi del socialismo. Shagdarsurengijn Tsogt, nato nel 1939 nella capitale Ulaan Baatar, ventenne va a studiare all’Istituto di Letteratura di Mosca “Maksim Gor'kij”, in cui familiarizzano con la potenza della tradizione letteraria russa e sovietica giovani scrittori provenienti da tutto il mondo socialista, tra loro, in quegli stessi anni, Ismail Kadare, che racconterà con divertita intelligenza quell’esperienza ne “Il crepuscolo degli dei della steppa”.

 

Ai cosmonauti

di

Shagdarsurengijn Tsogt

 

Quando ero piccolo come un’ombra a mezzogiorno,

sentivo sempre il desiderio del volo,

sognando le stelle.

E non è stato per pigrizia,

contando gli astri,

che ho perso il conto.

Ora, mentre ascendete fino alle stelle,

dopo aver reso abitabili per i terrestri i deserti dei pianeti,

io, sopraffatto dall’altezza interstellare,

vi chiamo per nome, o amici,

perdendo il conto.