Fede

di

Nikola Jonkov Vapzarov

 

Ecco: io respiro, lavoro, vivo

e scrivo versi,

così come posso.

Io e la vita ci guardiamo rabbiosi,

di traverso e contro la vita

io lotto

sino all'estremo.

 

Sono in conflitto con la vita

ma tu non pensare che io la disprezzi:

anche alle soglie della morte

continuerei ad amare la vita,

le sue brutali mani d'acciaio.

Ancora l'amerei.

 

E se mi stringessero al collo

un nodo scorsoio,

chiedendomi se ancora per un'ora

volessi restare in vita,

io griderei senza indugio:

"Via questa corda,

o carnefici!"

 

Per la vita affronterei ogni prova:

volerei dentro una macchina senza collaudo,

entrerei in un razzo cosmico

per cercare da solo nello spazio

lontani pianeti.

 

E anche così

sentirei un sottile fremito

vedendo com'è azzurro il cielo

lassù,

proverei l'incantevole brivido

d'essere ancora in vita,

d'esistere ancora domani.

 

Ma se voi mi prendete,

quanto?

un solo grano della mia fede,

allora getterò un grido,

urlerò di tormento

come pantera ferita al cuore.

Che resterebbe allora di me?

 

Un attimo dopo la vostra rapina

sarei distrutto,

o più esattamente, più

chiaramente,

un attimo dopo la vostra rapina

di me non resterebbe

altro che il nulla.

 

Voi forse volete abbattere

la mia fede nei giorni felici,

in un domani dove la vita

sarà più saggia e serena?

 

Ma come potrete abbatterla, dite?

Con raffiche di proiettili?

No, non vi conviene tentare,

sarebbe tempo perduto.

 

La mia fede è difesa saldamente

dentro il mio petto

e il piombo capace

di penetrare questa corazza,

ancora non è stato trovato,

nessuno l'ha ancora scoperto!

 

Nikola Jonkov Vapzarov, nato a Bansko il 7 dicembre 1909, dopo il liceo diventa allievo della Scuola Nautica di Varna, quindi operaio, macchinista di locomotive, fabbricatore di ordigni esplosivi per la lotta partigiana contro i nazisti, artificiere a fianco del colonnello Zvetan Radoinov, una delle guide della Resistenza. Nonostante la sua giovane età, è dirigente del Partito Comunista Bulgaro. Nel 1940 pubblica una raccolta di poesie  “I canti del motore”, iniziata nel 1935, che resterà l’unica, perché ucciso dalla brutalità nazifascista a Sofia il 23 luglio 1942 dopo immani e brutali torture. Morendo proclamerà:"Sono un antifascista, un figlio della mia Patria e odio gli invasori hitleriani: per questo faccio parte della Resistenza".