Trame uzbeke

di

Silvia Parri

 

Potrebbe raccontare brevemente chi è, e di che cosa si occupa?

 

Sono Davide Rossi , docente,  storico,  giornalista, direttore del Centro Studi ‘’Anna Seghers ‘’ di Milano e dell’ISPEC, Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo della Svizzera italiana in Svizzera, mi occupo di storia, di uguaglianza, che mi sembra il valore più importante nelle relazioni  tra gli esseri umani e quindi con questo criterio non solo analizzo il passato ma studio anche il presente, cerco di capire se è ancora possibile, se è possibile, se sarà ancora possibile nel mondo di oggi, costruire relazioni tra gli esseri umani, tra gli Stati, fondate sul principio dell’uguaglianza, che mi sembra il principio più importante.

 

 

Cosa l’ha spinto ha trascorrere un periodo di tempo in Uzbekistan?                                                             

 

L’interesse per il mondo mussulmano nel suo complesso, per una realtà ex sovietica, per un grande personaggio come Tamerlano che insieme al suo predecessore Cingis Khan, detto qui Gengis Khan, di cui non era esattamente un discendente, seppure se ne attribuisse una parentela, sono stati tra i grandi artefici della costruzione  di un mondo nuovo. L’attualità, ciò che oggi esiste tra Asia e Medio Oriente, in realtà deve molto alla presenza di Cingis Khan e Tamerlano, due protagonisti della storia fondamentali, perché hanno cambiato l’assetto politico in parte anche economico di questa parte del mondo determinandone la contemporaneità. La Cina di oggi probabilmente senza Cingis Khan non sarebbe come è, allo stesso modo forse possiamo dire che l’Uzbekistan di Khiva, Bukhara e Samaranda deve molto a Tamerlano.                                                                                                                          

 

Per quanto tempo ha vissuto lì?

 

Per sei mesi nel 2013, con molte interruzioni italiane, ho viaggiato nei territori postsovietici, partendo dall’Uzbekistan, in cui mi sono trovato dal 12 al 19 aprile 2013.

 

In che luoghi?  

 

Khiva, Bukhara, Samarcanda e la capitale Tashkent.

 

Con chi è venuto in contatto, che tipo di persone? Che cosa le hanno trasmesso?

 

Sono venuto a contatto, come sempre quando si viaggia, soprattutto nel mio caso viaggiando solo, con tutte le persone con cui ci si relaziona, dal taxista al gerente dell’ostello, però è stato bello perché l’Uzbekistan è una nazione nella quale le persone sono molto aperte, molto socievoli, molto cordiali, quindi dalle anziane al mercato, all’incontro che si poteva avere in una moschea con le persone che si trovavano li a riposarsi prima o dopo la preghiera, è stato molto bello, molto utile. Poi ho conosciuto due ragazze  Nilufar e  Meharanghis, che mi hanno raccontato il loro vissuto, il piacere di fare parte di una nazione che è religiosa ma forse anche grazie alla tradizione sovietica è molto tollerante e molto aperta e quindi una nazione nella quale ci si può esprimere attraverso una identità religiosa, ma anche no, senza che questo ponga problemi nelle relazioni tra le persone.

Mi hanno trasmesso una grande serenità, una grande tranquillità, anche l’esperienza che spesso viene mal raccontata da noi, quella del lavoro nei campi per la raccolta del cotone, descritta come lavoro “forzato”, invece è vissuta dai giovani come un momento di libertà, per andare fuori di casa, non è esattamente quello che riporta certa stampa, volta sempre a parlare male di certi paesi tra cui  l’Uzbekistan. Evidentemente perché c’è una malcelata visione eurocentrica, in cui l’Occidente corrisponde al bene e alla democrazia e tutto il resto no, per questo  anche l’Uzbekistan viene spesso messo in cattiva luce.

 

Dalla sua esperienza e dalle sue conoscenze quali sono state le cose positive e quelle negative che l’Unione Sovietica ha portato in Uzbekistan?

 

Di positivo sicuramente il fatto che la casa, la scuola, il lavoro, la salute, la tutela degli anziani, l’accesso alla cultura, sono dei diritti e quindi non si trovano forme di povertà estrema, ma anzi il governo uzbeko con il presidente di prima e quello attuale continua a garantire quelli che sono una parte fondamentale dei diritti umani, ovvero i diritti sociali, e non mi sembra poco, mi sembra molto importante. Quelle negative, forse un eccessivo burocratismo ma questo si vede anche in paesi che non sono stati socialisti. Poi, dal punto di vista della produzione economica del paese, non è tanto l’inizio della produzione del cotone il problema, ma la decisione presa negli ultimi anni sovietici, quelli  gorbacioviani, di estendere le piantagioni  di cotone in zone molto lontane dall’acqua, per cui in realtà produrre poco cotone costava e costa molto di più in trasporti e consumi d’acqua che produrre molto cotone sui territori precedenti, questa è stata una scelta avventata e in qualche modo oggi complica ancora la situazione del settore in Uzbekistan. Altri aspetti positivi lasciati dal socialismo sono il ruolo, la partecipazione delle donne, l’emancipazione femminile nel senso più vasto del termine, devo dire che è molto interessante il ruolo che le donne svolgono nella società uzbeka e mi pare si possa a ben ragione dire che il contributo sovietico nel quadro dell’emancipazione femminile, partendo dal’istruzione, sia stato molto importante.

 

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica quali aspetti dell’ideologia socialista e della vita durante il regime sono scomparsi e quali sono rimasti?

 

È rimasto un senso di comunità, probabilmente, quell’idea che è meglio ragionare insieme piuttosto che ragionare da soli, che è meglio essere in un collettivo, piuttosto che agire in modo individualista, credo che questo sia molto positivo. È scomparsa una dimensione ideale fondata sull’internazionalismo marxista che attraverso le bandiere rosse leggeva e vedeva l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani come orizzonte necessario. Oggi l’uguaglianza non è scomparsa in Uzbekistan, ma ha preso strade diverse per esprimersi, quelle dettate dal senso patrio, dall’identità nazionale, dalla dimensione dell’appartenenza religiosa al mondo mussulmano, si è trasformata, come immaginabile e inevitabile, nel passaggio da una società socialista come quella sovietica a una società differente come quella di oggi che in Uzbekistan è una società a tutti gli effetti inserita dentro un contesto mondialmente a prevalenza consumistico e capitalistico.