Lo stallo catalano

di

Davide Rossi

 

Nelle elezioni per il Parlamento di Catalunya del 21 dicembre 2017 ha votato il considerevole numero di quattro milioni e 360mila elettori, pari all’81.94 % degli aventi diritto, un successo di partecipazione che supera qualsiasi altra consultazione catalana del passato.

Gli indipendentisti borghesi di Junts per Catalunya del presidente esiliato Carles Puigdemont con 940mila voti ottengono il 21.65 % che insieme a quelli di Esquerra Republicana-Catalunya Sí di Oriol Junqueras, il dirigente cattolico legato al Vaticano, già vicepresidente di Puigdemont e attualmente in carcere, che li seguono con 929mila voti e il 21.39 %, totalizzano 66 seggi, ovvero uno meno della maggioranza assoluta. Ad affiancarli potrebbe esserci ancora una volta la sinistra rappresentata dalla CUP Candidatura d'Unitat Popular, fermatasi a 193mila voti, il 4.45 %, oltre un quarto in meno delle elezioni del settembre 2015, ma capace in ogni caso di ottenere 4 seggi. Le divergenze tra la CUP e le forze borghesi sono in merito ai temi sociali, non tanto rispetto alla richiesta di autonomia e indipendenza. Qui potrebbe chiudersi la riflessione rispetto all’espressione della volontà popolare, ma in realtà la confusione catalana resta gigantesca.

Il governo del popolare e un tempo giovane franchista Mariano Rajoy infatti non accetta il risultato perché contraddice la sua volontà di ridurre l’autonomia dei catalani e piegarli al volere di Madrid, il primo ministro tra l’altro non ha chiarito se gli eletti attualmente in galera potranno essere liberati per assolvere al loro mandato, o se dovranno dimettersi per permettere alle loro formazioni politiche di poter avere una rappresentanza parlamentare coerente con il voto e non sottorappresentata.

Rajoy inoltre dichiara che vuole parlare solo con Ines Arrimadas, che guida Ciutadans-Partido de la Ciudadanía, unionisti arrivati primi con un milione e centomila voti, il 25.37 % e 37 deputati, ma privi di qualsiasi possibilità concreta di realizzare un governo, visto l’epocale tracollo dei popolari, sprofondati a 184mila voti, 4.24 % e solo 3 eletti.

Altre due forze entrano in parlamento, con 602mila voti i socialdemocratici del Partit dels Socialistes de Catalunya, con il 13.88 % e 17 eletti, sempre più confusi, bloccati dall’alleanza a livello nazionale con i popolari e l’evidente consapevolezza che tale “grossa coalizione” in salsa spagnola li abbia piegati ad accettare politiche monetariste imposte dall’Unione Europea, sempre più invise ai cittadini, dimostrando la loro incapacità di proporre un’alternativa orientata alle fasce più deboli della società, come invece hanno fatto i socialdemocratici portoghesi e infine Catalunya en Comú-Podem con 8 eletti e 323mila voti, pari al 7.45 %, lista della sindaca di Barcellona Ada Colau.

Mariano Rajoy rifiuta di parlare con Carles Puigdemont, lo scontro tra borghesia reazionaria spagnola e borghesia catalana porta a uno stallo privo di prospettive che rischia di lasciare la Catalunya senza un governo ancora a lungo.