Kaliningrad

di

Davide Rossi

 

Il confine tra Polonia e Russia è una vera frontiera, fatta di filo spinato, zone di separazione interdette al passaggio di chiunque, lunghi e meticolosi controlli tanto in uscita da una nazione, quanto in entrata nell’altra.

Arrivando in autobus si costeggiano gli immensi cantieri e l’insieme portuale di Kaliningrad, il solo grande porto russo accessibile tutto l’anno e non soggetto ai ghiacci invernali.

Quando l’Armata Rossa libera la prussiana Königsberg alcuni ufficiali laureati in filosofia, ancorché marxisti, portano un fiore sulla tomba di Immanuel Kant, che qui ha sempre vissuto per tutti gli ottant’anni della sua vita riflessiva e meditativa. Oggi una lapide in Leninskij Praspiect ricorda, su un moderno palazzo sovietico, il luogo in cui il filosofo è nato e ha vissuto i suoi primi anni. La tomba è rimasta presso la cattedrale medioevale, oggi museo, sull’isoletta di Kneiphof lungo il fiume Pregel, con tutta l’eccessiva monumentalità, che anche il filosofo avrebbe disapprovato, voluta dai tedeschi nel secondo centenario della sua nascita nel 1924.

Come ogni città di confine anche questa ha avuto molti nomi, Königsberg, ovvero collina dei re, sotto l’ordine teutonico e i prussiani, Krolewiec in polacco e in lituano Karaliaučius.

Qui è nata Käthe Kollwitz, grande pittrice e scultrice, amica di Anna Seghers e come lei berlinese d’adozione. Per i sovietici diventa Kionigsberg, semplificando l’ostica pronuncia tedesca. Quando nell’estate del 1946 si spegne Michail Ivanovič Kalinin, presidente del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica e amico di lunga data di Lenin e di Stalin, con il quale ha condiviso anni di carcere e azioni di lotta contro lo zarismo, compresa l’organizzazione dei primi Soviet degli operai e dei contadini nel corso della sfortunata Rivoluzione del 1905, la città è immediatamente a lui dedicata, nome che le appartiene ancora oggi, con tutte le vie che corrono tra il mare, le basi militari e i cantieri.

Le vestigia teutoniche scarseggiano, spazzate via dalla guerra mondiale e rimpiazzate dalle solide costruzioni sovietiche in tardo stile staliniano e le più recenti d’epoca brezneviana. Ovunque monumenti ai caduti, aiuole fiorite, scuole con dipinti degli anni ’70 ispirati alla solidarietà internazionale. La toponomastica è immutata rispetto ai tempi sovietici, le vie Marx, Lenin, Unione Sovietica, Gioventù Comunista, quelle dedicate agli eroi del cosmo, come agli eroi della seconda guerra mondiale, qui come sempre chiamata Grande Guerra Patriottica, si incrociano salutando festose le statue di Lenin e di Kalinin, come i monumenti dedicati agli eroi della lotta antinazista e ai sovietici che dopo Gagarin hanno intrapreso viaggi nello spazio. Sulla stazione dei treni svetta, da poco riverniciate, una falce e martello di rilevanti dimensioni. Molte ragazze portano legato alla borsa il nastro arancione e nero della Vittoria sul nazifascismo, su tutti gli autobus lo stesso nastro adorna i finestrini o gli specchietti dei conducenti, molti manifesti inneggiano ai partigiani combattenti che hanno contributo alla Liberazione d’Europa e altri alla creazione settant’anni fa, nel 1946, dell’Oblast, la regione, di Kaliningrad.

Là dove sorgeva il castello prussiano vi è ora la Casa dei Soviet, progetto lanciato nel 1970, struttura mastodontica in cemento armato, rimasta incompiuta non solo per la pachidermica lentezza della burocrazia brezneviana, ma anche per la cedevolezza del terreno, poco idoneo a una struttura tanto massiccia e anche per la fine dei finanziamenti in epoca gorbacioviana. Oggi molti ne reclamano un utilizzo sociale, creandovi alloggi per i giovani e per le famiglie a basso reddito. Un’idea intelligente che potrebbe chiudere un percorso lungo mezzo secolo.

Nei pressi della Casa dei Soviet, lungo il fiume, un museo all’aperto permette ad adulti e bambini di visitare e salire su alcune navi, su un sottomarino e su un aereo che sono stati vanto della ricerca scientifica e della difesa militare sovietica.

Kaliningrad così, unico lembo di Russia separato dalla madrepatria, stretta tra l’ostilità atlantista di Polonia e Lituania resiste, consapevole della propria storia antifascista e del proprio ruolo, chiamata a essere avamposto e baluardo di un mondo plurale e multipolare, mentre tragiche voci di guerra percorrono irresponsabilmente il mondo e già insanguinano l’Ucraina orientale, la Siria, la Libia e tante altre parti della terra e del Medioriente.

 

luglio 2016