Marx e Lenin, da Treviri a Ulianovsk, passando per Mosca e Kazan

di

Davide Rossi

 

Una lieve pioggerella accompagna, anche di luglio, le antiche vie medievali di Treviri, con palazzi dai tetti spioventi come nelle favole dei fratelli Grimm, mentre la Mosella scorre tra le colline dai rigogliosi vigneti, capaci di regalare un ottimo vino bianco. È questa una terra abitata ed edificata già duemila anni avanti Cristo, i Romani le regalano il nome di Augusta dei galli treveri e una ricca urbanistica tra cui le quattro porte cittadine, di cui quella settentrionale, la Porta Nigra, di scura arenaria, è stata capace di vincere l’incedere del tempo, nobilitata anche dalla vita di un siracusano di origine greca che vi si rinchiude eremiticamente poco dopo il Mille, a imitazione del primo stilita siriano e suo omonimo, Simeone, vissuto sei secoli prima di lui nei pressi d’Aleppo, un luogo visitato dal secondo Simeone, che faceva da guida ai pellegrini in partenza da Costantinopoli verso la Terra Santa. Se Simeone il siracusano è fulmineamente fatto santo dopo la sua morte, due illustri predecessori treverini sono saliti agli onori degli altari dopo aver indossato la mitra vescovile, Emidio ad Ascoli e Ambrogio a Milano. Poco oltre la Porta Nigra, in Simeonstrasse 8 vi è la casa in cui un’insegna ricorda essere stata l’abitazione di Moses Kiessel Mordechai Levi, nipote del rabbino cittadino Mordechai Halevi ben Schmuel Postelberg e figlio di un illuminista che sbrigativamente aderisce al cristianesimo, dando al piccolo il nome di Karl Marx. Carletto arriva in Simeonstrasse 8 a un anno, nel 1819, e qui passa tutti i suoi anni treverini, fino a quando diciassettenne prende la via dell’università e si perde, inseguito dalle polizie reazionarie di mezz’Europa, incendiando il continente e il mondo con le sue parole di giustizia e di uguaglianza. Teorico del comunismo, ci ricorda che esso “non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà debba conformarsi, ma è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.” Nella sua casa natale in Bruckenstrasse 10, di fronte a uno straordinario negozio di vini locali, la socialdemocrazia tedesca ha realizzato un meritorio museo celebrativo del grande rivoluzionario, tuttavia piegando l’interpretazione dei suoi scritti e soprattutto gli avvenimenti del Novecento a una interessata contestazione del socialismo, dimenticando che invece proprio la nascita del paese dei Soviet ha rappresentato il compimento di un pensiero che si è reso capace di diventare entità statuale. In seguito molti paesi hanno scelto la via del socialismo e la Cina Popolare oggi rappresenta il più evidente successo delle idee marxiane. Ai socialdemocratici tedeschi piace invece dimenticare che Marx propugnava il superamento definitivo dello stato borghese, non il compromesso con esso e il conseguente assoggettamento dei lavoratori agli interessi del Capitale. Il marxismo si fa stato incontrandosi con la teoria leninista della Rivoluzione e così, riannodando i fili del marxismo-leninismo, occorre percorre diversi chilometri per arrivare, partendo dalla Renania, alla terra dei Tartari, non lontano dalla più musulmana delle città russe, Kazan, in quella che un tempo si chiamava Simbirsk e oggi è Ulianovsk, in onore di Vladimir Ilic Ulianov, rivoluzionario con lo pseudonimo di Nikolaj Lenin, Nikolaj in omaggio al nonno, e passato alla storia come Vladimir Ilic Lenin. Sono due infatti gli anniversari che si lambiscono e inseguono in questi mesi, il centenario della Rivoluzione d’Ottobre che per l’ostinazione del tartaro Lenin si realizza nel 1917, cambiando il corso della storia e ponendo per la prima volta i proletari e gli sfruttati alla guida di una nazione e il glorioso bicentenario il 5 maggio 2018 della nascita di Karl Marx.

A Mosca il grande Karl Marx di piazza della Rivoluzione, i cui lavori di realizzazione del monumento sono stati inaugurati da Lenin il primo maggio 1920, dopo una statua provvisoria dedicata anche a Engles posta il 7 novembre 1918 sempre con discorso di Lenin, ancora svetta nella piazza, con la barba e i capelli al vento, richiamando i proletari di tutte le nazioni ad unirsi, come recita a grandi lettere la scritta sottostante, nota chiusura del Manifesto dei comunisti da lui scritto con Engels. Un pensieroso Lenin si trova invece fuori dalla poco distante sede di quello che un tempo era l’Istituto mondiale per il Marxismo e il Leninismo e oggi è la sede russa degli studi storici dedicati al socialismo, di fronte al Comune di Mosca, i due pensatori insieme ad Engels sovrastano invece l’entrata dell’edificio, che è sul lato opposto in ulitza Bolšaja Dmitrovka, di fronte a numerosi negozi di moda, guardati pensierosamente dai filosofi.

Se l’irruento Marx fin dai tempi del liceo si agitava e correva per le vie di Treviri lanciando volantini e inneggiando alla libertà, il piccolo Volodja si divertiva, nella bella stagione, coi fratelli e cugini, e probabilmente con le più risolute tra le loro coetanee sorelle e cugine, ad uscire di casa attraverso la finestra, una di quelle grandi finestre di legno intarsiato che adornano le case russe. Gianni Rodari al proposito, nella sua “Grammatica della Fantasia” sottolinea: “Il saggio dottor Blank, il nonno, padre della mamma di Lenin, ben guardandosi dall’impedire quell’innocente spasso, fece mettere sotto le finestre delle robuste panchette, perché i ragazzi se ne potessero servire nei loro andirivieni senza rischiare di rompersi l’osso del collo. A me sembra un modo esemplare per mettersi al servizio dell’immaginazione infantile.” Forse anche grazie alla panca del nonno il piccolo Lenin ha capito che se vi è un problema o un ostacolo non ci si deve arrendere o perdere d’animo, ma si deve trovare il mondo per affrontarlo e superarlo. Di problemi il giovane Ulianov ne ha affrontati parecchi, dopo un’agiata infanzia che lo ha visto prima istruito in casa da un precettore e dalla madre, poi eccellente studente della scuola secondaria di Simbirsk, perde, prima di concluderla, il padre e l’anno seguente, nel 1887, il fratello maggiore Aleksandr, condannato a morte per la partecipazione al movimento antizarista “Narodnaja Volja”. La famiglia si trasferisce quindi per due anni a Kazan, ma Vladimir non frequenterà mai l’università, subito arrestato per attività sovversiva, ne viene espulso. Di fronte al magistrato che lo interroga con queste parole: “Perché vi rivoltate, giovanotto? Avete davanti una muraglia”, il diciassettenne Vladimir risponde “Sì, una muraglia che crolla. Basta una spinta perché precipiti”. Chi lo giudica non sa che esattamente trent’anni dopo quel ragazzo sarà l’edificatore della nuova Russia socialista.

Grazie all’intercessione presso i potenti della madre, in quanto vedova di un ispettore scolastico, Vladimir è ammesso alla facoltà di legge dell’università di San Pietroburgo e sostenuti tutti gli esami da privatista, diventa avvocato, tuttavia non ne farà una professione, la sua è quella del rivoluzionario.

Ulianovsk è adagiata, come Kazan, sulle rive del Volga che scorre impetuoso e imponente, tanto grande da sembrare un mare piuttosto che un fiume o un lago. A Kazan, sesta città russa e capitale dei tartari, prima per presenza musulmana, con una delle moschee più grandi d’Europa e l’anno prossimo sede di alcune delle partite del Mondiale di calcio, il fiume lambisce il Cremlino. All’interno chiese ortodosse, dalle poderose icone di san Nicola e della madonna locale, quella che veniva portata in battaglia alla testa dell’esercito, e moschee convivono in un clima di rispettosa vicinanza. Minareti e lukovici, le cupole a cipolla delle chiese ortodosse, si affratellano nel cielo.

Anche a Mosca si vedono ora molte più ragazze musulmane di un tempo, ma, a prescindere dalla religione, che lo stato rispetta in quanto elemento identitario personale e collettivo, vi è un generale senso di appartenenza alla comunità nazionale. È questo un altro dei meriti che vanno ascritti al presidente Vladimir Putin, capace non solo di migliorare costantemente – nonostante l’embargo occidentale - le condizioni di vita dei cittadini, la crescita del PIL ne è solo la conferma, ma anche di instaurare nei confronti delle comunità religiose e dei loro rappresentanti un clima di deferente rispetto in un quadro di forte coesione sociale, in cui la libera espressione della fede è un sentimento naturale per i cittadini.

A Ulianovsk il fiume lambisce il museo dedicato a Lenin, voluto da Breznev per il glorioso centenario della nascita del rivoluzionario, celebrata nel 1970, ed edificato nel pieno rispetto dei canoni della monumentalità real-socialista del’epoca. L’edificio ingloba la casa natale di Vladimir, mentre la casa – museo in cui ha vissuto dagli otto ai diciassette anni si trova in via Lenin, a un paio di fermate dei tram, che sferragliano allegri, molti sovietici degli anni ’60.

Ulianovsk ha nel complesso un aspetto più dimesso di Kazan, ma in realtà è semplicemente lo specchio di quello che era il modesto ma sicuro paradiso socialista, difficile da capire per occhi immersi quotidianamente nell’effervescente, colorato e ingiusto inferno capitalista. Fuori dal museo brezneviano, poco distante, si trova il liceo Lenin, costruito negli stessi anni, con un grande mosaico, il tutto a pochi passi dalla scuola secondaria frequentata dal giovane Volodija sul finire del XIX secolo. Nell’attigua piazza principale una considerevole statua di Lenin ribadisce il rapporto privilegiato del bolscevico con la sua città natale, a pochi passi da una di Karl Marx, alto, ieratico, sacerdotale, in abiti russi medievali, una rappresentazione singolare, ma certo approvata da Lenin, essendo il monumento del 1920, quasi che il nuovo capo di stato sovietico avesse voluto riannodare i fili di una continuità ideale e offrire a quel tedesco di Treviri una meritata cittadinanza onoraria nella prima patria socialista del mondo.

 

luglio 2017