Umar al-Khayyam e il libro del capodanno

di

Diletta Vignati

 

Il libro del Capodanno (Nawrûznâma)” di Umar Khayyam, editato da Mimesis, ripropone l’opera di questo matematico, astronomo e poeta che visse a Nishapur, una città nel nord-ovest dell’attuale Iran, tra il 1048 e il 1131. Per buona parte della sua vita al servizio dello Shah Malik, Khayyam diede un notevole contributo alla riforma del calendario persiano. In un’epoca nella quale il connubio tra scienza e poesia non era ancora rotto ed esse non erano ancora separate, se non perfino contrapposte come spesso sembra avvenire oggi, Khayyam si dedicò anche alla poesia. Tra i versi di sua produzione spesso si percepisce l’ironia razionale dello scienziato che lotta contro l’ignoranza e la superstizione che egli avvertiva presso i suoi contemporanei. In effetti, se è vero che le ‘Quartine’ sono dedicate soprattutto al motivo del vino e all'esaltazione del ‘vizio’ bacchico, è da notare che contengono pure altri temi, più profondi, come ad esempio una meditazione originale sulla morte e sui limiti della ragione umana, impotente di fronte al mistero dell'esistenza, un rimprovero, spesso rancoroso, a dio, il cui progetto creativo è accusato di irrazionalità e incoerenza, un feroce attacco al bigottismo e all'ipocrisia dei religiosi. È evidente, quindi, come Umar Khayyam, pur essendo un musulmano profondamente devoto, o forse proprio per questo, utilizzò sistematicamente la sua poesia per lottare contro le deviazioni banalizzanti e aggressive della religione stessa. Pare, questa, una ‘crociata’, per usare un termine fortemente provocatorio secondo una prassi che, si può ben sperare, l’autore avrebbe apprezzato di cui le religioni – e non soltanto l’Islam – avrebbero bisogno ancora oggi. Quello di Umar Khayyam è un invito a vivere la propria fede con maggior libertà ed entusiasmo, impostando un rapporto con dio che sia di reale amicizia e relazione, con tutti i ‘rischi dell’amore’ che questo tipo di fede porta con sé. Il suo è anche un invito a liberarsi di quelle tradizioni, quegli obblighi e quei divieti che seppelliscono la fede sotto un sudario di vuota retorica e di abitudine. Da qui, ad esempio, l’invito a servirsi del vino, bevanda proibita ad ogni fedele musulmano, ma ammessa in alcune confraternite sufi. Alla base vi è la consapevolezza che chi è interessato unicamente al rispetto delle regole religiose facilmente scivola nell’arroganza, dimenticando la sostanza del messaggio divino. Al contrario, chi fugge dalla ricerca spasmodica della lode da parte degli altri uomini più probabilmente meriterà la lode più importante, ovvero quella da parte di dio. Si pensi allo splendido verso del poeta sufi Hafez (Shiraz, 1315 – 1390): Versa il vino, coppiere e smetti quest’inutile parlare, in cui al coppiere, evidente riferimento ad Allah, è rivolta la preghiera di concedere al devoto musulmano una vicinanza semplice, immediata, realmente amichevole. Senza più bisogno di parole, cioè senza bisogno di mediazioni, né di tradizioni. Forse proprio per questo aspetto polemico, tuttavia essenziale ed onesto, Khayyam ha ancora molto da dire anche ai giorni nostri, a quasi mille anni dalla sua morte. Era di questo parere il grande cantautore Fabrizio De André che come finale della canzone ‘La collina’ ha posto la frase, tratta da una quartina di Umar Khayyam: "Pien di stupore son io pei venditori di vino, ché quelli che cosa mai posson comprare migliore di quel ch'han venduto?" modificata in "sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore / tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?". L’edizione di Mimesis è stata curata da Simone Cristoforetti, docente di Storia dell’Iran e Storia delle Istituzioni Musulmane all’Università Ca’ Foscari di Venezia, una traduzione, ben spiegata e commentata per rendere l’opera fruibile anche al comune lettore europeo di oggi. Le poesie sono la parte indubbiamente più interessante della produzione letteraria di quest’autore, tuttavia in questo trattato è possibile riscontrare le varie tappe del ragionamento teorico e razionale che hanno favorito la nascita delle convinzioni in seguito espresse nelle opere poetiche. Dopo il proemio nel quale, come da tradizione comune tra i poemi della letteratura occidentale e della letteratura orientale, vi è la dedica alla divinità, in questo caso Allah, il trattato prosegue con la spiegazione delle caratteristiche e delle convinzioni legate al susseguirsi dei dodici mesi del calendario persiano, i quali corrispondono ai dodici segni zodiacali secondo un calcolo non semplice eseguito periodicamente dagli esperti. Lo scopo dell’opera, che, si ricordi, era innanzitutto un trattato didascalico, era infatti quello di spiegare ad un pubblico vasto e non particolarmente erudito la storia ed il senso del capodanno persiano, che cade il primo giorno di primavera, anche in connessione con la religione islamica.