Konstantin Černenko

di

Davide Rossi

 

Konstantin Černenko nasce a Bolšaja Tes il 24 settembre 1911 da padre contadino con la buona stagione e minatore nei mesi freddi lungo le vene di rame e d’oro della terra della zona siberiana dello Enisej, non lontano da Krasnojarsk, il cui bacino fluviale nel 1972 sommergerà il suo villaggio natale. Černenko si spegne a Mosca il 10 marzo 1985, da Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, dopo solo undici mesi alla guida del campo socialista.

Brillante studente della scuola rurale, si iscrive a quindici anni nel 1926 al Komsomol, la Gioventù Comunista, e per un biennio, dai diciotto ai venti anni, è direttore della sezione distrettuale del Dipartimento di agitazione e propaganda. La militanza politica, l’impetuosità dei tempi, l’edificazione sovietica, travolgono la sua vita e gli studi si faranno accidentati, diventerà insegnante di storia tempo dopo, conseguendo il titolo in Moldova presso l’Istituto Pedagogico di Chișinău nel 1953. Dopo il servizio militare in Kazakhstan dal 1931 al 1933 lungo il confine con la Cina, passa al Partito, torna nella sua regione e inizia ad assumere diverse responsabilità fino a diventare segretario del Comitato Regionale di Krasnojarsk nei primi due anni della Grande Guerra Patriottica, ovvero la Guerra Mondiale, dal 1941 al 1943.

Nel 1943 cade in disgrazia per eccesso di zelo e viene richiamato alla Scuola Superiore del Partito per due anni. Curando infatti il libro “Stalin nell’esilio siberiano” in ricordo della prigionia del GenSek a Turuchansk, presso il fiume Kurejka, affluente dello Enisej, dalla primavera del 1914 al dicembre 1916, menziona anche il figlio di Stalin, Aleksandr Davidov. Nei due anni e mezzo trascorsi in questa propaggine nordica della Siberia, non i primi essendo stato più volte arrestato e deportato fin dal 1902, Stalin familiarizza con i tungusi, antico popolo siberiano, con il quale impara a parlare con gli sguardi e i silenzi e insieme al quale va a caccia, apprezzando i pasti fatti di vodka e cubetti di pesce ghiacciato, un’abitudine che porterà al Cremlino e ricordata con qualche stupore da Molotov. In Siberia la notte e il giorno durano sei mesi, un tempo di oscurità e un tempo di luce. Vale la pena ricordare qualche riga de “Il crepuscolo degli dei della steppa” di Ismail Kadare per comprendere il luogo. Lo scrittore albanese parla di un collega tunguso, Kiuzenghesh, il quale rientrava nella capitale moscovita grigio in volto e si chiudeva due giorni in camera “perché non riusciva ad abituarsi alla suddivisione del tempo in giorni di ventiquattr’ore, era un problema grave per gli scrittori di quella regione, pensate, vivere tutta la vita con giornate e notti che durano sei mesi, poi essere costretti nei libri a spezzare il tempo artificialmente. Kiuzenghesh non può scrivere: il mattino dopo se ne andò, perché il mattino dopo per lui significa tra sei mesi. Oppure quando uno scrittore della tundra scrive: è scesa la sera, scrive di qualcosa di tanto raro da far la stessa impressione che dire: abbiamo avviato il Terzo Piano Quinquennale, o: è incominciata la guerra.” In questa terra siberiana un grande amore unisce il trentacinquenne Iosip Stalin e la tredicenne Lidija Pereprygina, un primo figlio nasce alla fine del 1914, ma muore presto, colpito dalla terribile mortalità infantile che attanaglia l’impero zarista, un secondo figlio nasce nell’aprile del 1917, ma Stalin non lo vedrà, come non vedrà più la fidanzata allora quindicenne. Nel dicembre 1916 infatti è trasferito con altri prigionieri politici mille chilometri più a sud ad Ačinsk, sempre nella regione di Krasnojarsk, da cui riesce a scappare dopo gli avvenimenti della Rivoluzione di Febbraio per raggiungere Pietrogrado, in cui arriva il 12 marzo 1917. Quando Stalin deciderà di edificare tra i laghi Pjasino e Lama la città mineraria di Norilsk, sfiderà la natura e le intemperie, scegliendo un luogo più a nord  di ben cinquecento chilometri rispetto a Turuchansk, e più a est, sebbene sempre del Comitato Regionale di Krasnojarsk. Stalin non incontrerà più Lidija Pereprygina, la quale si sposerà con il contadino Jakov Davidov, il quale darà il suo cognome al piccolo Aleksandr. Aleksandr Davidov non incontrerà mai il padre, ma si distinguerà prima come membro del Komsomol, la Gioventù Comunista dal 1935 e poi come membro del Partito e soldato dell’Armata Rossa, con la quale combatte tutta la seconda guerra mondiale, la Grande Guerra Patriottica, rimanendo ferito tre volte. A trentatre anni torna in guerra con il grado di maggiore, difendendo la Corea Popolare dall’aggressione statunitense. Rientrato dalla Corea nel 1953, si trasferisce a Novokuzneck, più a sud della sua terra natale, nella regione di Kemerovo e assume la direzione dello spaccio alimentare della città mineraria. Si spegnerà nel 1987, a settant’anni, lasciano tre figli e diversi nipoti.

Černenko viene così relegato a incarichi secondari, dal 1945 al 1948 è segretario del Comitato Regionale del partito a Penza, ma come Stalin, Černenko si intrattiene con entusiasmo e amore con molte ragazze, da alcune avrà anche dei figli, e questa esuberanza rallenta, come prevedibile, la sua ascesa nel Partito, gli viene negato il trasferimento a Mosca e nel 1948 diventa responsabile del Dipartimento per la Propaganda della Repubblica Socialista Sovietica Moldava. Sembra un declassamento, ma in realtà qui incontra colui che diventerà il suo più grande amico, con cui condivide la passione politica e per le belle ragazze: Leonid Brežnev, destinato a guidare per quasi un ventennio il campo socialista. Insieme attraverseranno il trentennio seguente. Quando nel 1952 Brežnev rientra a Mosca, come segretario al Comitato Centrale del PCUS, Černenko lo segue un anno dopo, terminati gli studi storici, e lo accompagnerà nel ruolo di collaboratore negli incarichi successivi. Dopo la morte di Stalin per un anno i due sono alla Direzione Politica dell’Armata Rossa, nel 1954 Černenko segue Brežnev in Kazakistan dove questi ricopre il ruolo prima di secondo, poi di primo segretario del Partito Comunista della Repubblica, partecipando al progetto delle terre vergini, da abitare e dissodare, Tselinograd sarà la meta principale di questo poco riuscito progetto cruscioviano, ancorché molto appassionante per diversi giovani. La piccola Tselinograd è oggi diventata Astana, la stupenda e avveniristica capitale kazaka. Brežnev e il suo segretario sovraintendono anche alla costruzione del cosmodromo di Baikonur, il luogo delle fantastiche imprese spaziali sovietiche, 1957 Spuntink, il primo satellite della terra costruito dall’uomo, 1959 Lunik II, il primo strumento umano sulla luna, nel 1961 il Vastok, che porta nel cielo il primo cosmonauta: Jurij Gagarin, nel 1963 Valentina Terskova è la prima donna nei cieli.

Nel 1956 Brežnev rientra a Mosca e con lui Černenko. A Mosca Brežnev prima è segretario del Comitato Centrale per l’industria militare, fino al luglio 1960, poi Presidente del Presidium del Soviet Supremo, ovvero capo di stato, giovanissimo rispetto ai predecessori Michail Kalinin, Nikolaj Švernik e Kliment Vorošilov che avevano ricoperto dal 1918 e fino ad allora tale carica. nell’ottobre del 1964 diventa Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica per diciotto anni, Černenko diventa capo della sua segreteria e nel tempo entra a far parte del Comitato Centrale e del Politbjuro. Più precisamente dal 1956 al 1960 Černenko è Responsabile del Settore per l'agitazione di massa presso il Dipartimento di Propaganda del Comitato Centrale del PCUS, dal 1960 al 1965 è Capo della Segreteria del Soviet Supremo dell'URSS. Dal 1965 al 1982 è il capo del Dipartimento Generale del Comitato Centrale del PCUS e dal novembre 1978 membro del Politbjuro. Černenko, assolvendo a tali funzioni, diventa fondamentale per la mediazione tra i dirigenti locali del Partito, regionali e delle Repubbliche asiatiche e Brežnev, solo passando attraverso di lui si ha la certezza del successo delle istanze proposte. Černenko accompagna anche Brežnev in molti viaggi internazionali, in particolare alla conferenza di Helsinki del 1975 alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e a Vienna nel 1979 per i colloqui sul disarmo.

Leonid Brežnev appena insediatosi alla guida dell’Unione Sovietica introduce nel 1965 due giornate festive che ancora oggi rappresentano due momenti mondiali di riconoscimento dei diritti e dell’antifascismo, l’8 marzo, giornata internazionale di lotta per i diritti delle donne e il 9 maggio, giorno della Vittoria nel 1945 contro il nazifascismo nella seconda guerra mondiale, quella che in russo si chiama la Grande Guerra Patriottica. Černenko sarà in queste scelte al suo fianco.

Morto Brežnev e scomparso nel febbraio 1984 Jurij Andropov, che proprio Černenko aveva proposto quale segretario generale nella riunione del 12 novembre 1982, per Černenko, pur nelle precarie condizioni di salute in cui si trovava, si apre il passaggio alla segreteria generale del Partito, un incarico che ricoprirà meno di un anno, il mandato più breve della storia sovietica. Contrariamente a quanto una certa storiografia molto superficiale ci ha trasmesso, si mostra un continuatore dei progetti di Andropov, anche nel’impegno per il superamento dell'economia sommersa e nella responsabilizzazione dei lavoratori nella gestione delle imprese, in questa direzione cerca la collaborazione dei sindacati, che rafforza, spronandoli a una partecipazione attiva nel rinnovamento sociale ed economico, in un quadro di valorizzazione dei progressi scientifici e tecnologici, i soli che possano garantire un accelerato sviluppo delle forze produttive. Promuove una piena riabilitazione politica di Stalin e nel farlo procede con il riconoscimento dei meriti del novantaquattrenne Vjačeslav Molotov, coniugandola con una ampia riforma della scuola e una ripresa della lotta contro la corruzione, convinto dell’impellenza del lavoro politico e ideologico di massa nel Partito.

Černenko è il promotore della campagna di boicottaggio delle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles, molti sono i motivi per il rifiuto della partecipazione. Gli anni ’80 rappresentano un momento molto grave della Guerra Fredda, il presidente statunitense Ronald Reagan non solo fomenta l’odio contro i paesi socialisti favoleggiando possibili “guerre stellari”, ma promuove e sostiene gruppi militari terroristici in Centro America, con l’obiettivo di distruggere le forze progressiste di El Salvador e annientare il governo rivoluzionario sandinista in Nicaragua, supporta le dittature, dal Cile di Pinochet al Brasile, in Sudafrica si schiera a fianco dei razzisti bianchi che governano applicando l’apartheid contro i neri, in Asia cerca di destabilizzare l’Afganistan, aiutando gli integralisti islamici che lottano contro il legittimo governo popolare e in Medioriente sostiene le politiche repressive israeliane contro i palestinesi. Tutte queste ragioni portano l’Unione Sovietica, la DDR, la Bulgaria, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, l’Albania, la Polonia in Europa, l’Afghanistan e le nazioni socialiste d’Asia, Corea, Mongolia, Laos e Vietnam, per l’Africa la Libia di Gheddafi, l’Etiopia, l’Angola e il Burkina Faso, guidato da poco da Thomas Sankara, nonché lo Yemen socialista e la Repubblica Islamica d’Iran a scegliere di non inviare atleti alle Olimpiadi.

In politica estera Černenko ristabilisce rapporti diplomatici commerciali con la Cina Popolare guidata da Deng Xiao Ping e, nel solco del suo predecessore Andropov, intuendo la necessità di riforme economiche, cerca di instaurare un dialogo con gli Stati Uniti per la riduzione degli armamenti, in modo da liberare una maggiore parte del bilancio sovietico per il rinnovamento industriale. La sua prematura scomparsa blocca questo cammino, lasciando spazio alle disastrose iniziative gorbacioviane che contribuiranno in maniera significativa al collasso del campo socialista.

Il 13 marzo 1985, giorno del funerale di Černenko, verso mezzogiorno, un cielo grigio e plumbeo e un vento ghiacciato rendono la giornata gelida, ai mille ragazzi delle bande era stato dato l’alcool per impedire agli strumenti musicali di diventare inservibili per il freddo, ma la metà rimangono in silenzio, avendo i giovani preferito trangugiarlo piuttosto che versarlo dentro trombe e tromboni. Un ufficiale della guardia alla bara perde la mano, intirizzita dai molti gradi sotto zero. Michail Gorbaciov è appena stato eletto Segretario Generale. Unico dirigente di mezza età del Politbjuro, tradirà le molte speranze in lui riposte, mentre il mausoleo leniniano offre quel giorno al mondo, nell’interminabile meteora di chiome canute dei dirigenti del Partito, una triste immagine di senescente decrepitezza del socialismo sovietico, da troppe primavere irrimediabilmente gerontocratico.

A Černenko vengono dedicate diverse vie in molte città, ma la perestrojka gorbaciovana le cancellerà velocemente, così come le strade dedicate a tanti altri bolscevichi, celebre la barzelletta secondo cui pure Mosca avrebbe presto preso un altro nome, quello di Ust - Costantinopoli.

Nella seconda metà degli anni ’80 solo Deng Xiao Ping giganteggerà sul piano internazionale da da autentico marxista e grande statista, contrastando la barbara aggressione liberista su scala mondiale attraverso cui si dichiaravano morte le ideologie e finita la storia. Il grigiore abbracciava il Cremlino e la Piazza Rossa, ma l’Oriente restava rosso. Sono occorsi tuttavia un paio di decenni perché si capisse come l’ideale marxista sia ancora capace di essere portatore di eguaglianza e di futuro.