Simone Weil a Berlino nel 1932

di

Davide Rossi

 

Simone Weil nell’estate e nell’autunno del 1932 è Berlino, per osservare e capire. Non mancherà di criticare i comunisti, ma nel complesso rende molto bene la drammatica situazione della Germania e in particolare della sua capitale. Auspica la Rivoluzione e sarebbe lieta se fosse realizzata dai comunisti, ma constata amaramente come il 90% degli aderenti al partito sia formato da disoccupati e come in generale in città si vedano: “individui che cantano pietosamente nei cortili, bambini orribilmente magri. Giovani che non hanno mai lavorato, stanchi dei rimproveri dei genitori, che si uccidono o si danno al vagabondaggio, o si demoralizzano completamente. Che spettacolo desolante, questa ammirevole e colta classe operaia, presa così per la gola”, ovviamente dal sistema capitalista. “Una vita di ozio e di miseria, che priva gli operai della loro dignità di produttori, che toglie agli operai specializzati la loro abilità e a tutti gli altri ogni opportunità di acquisire una qualsiasi abilità.” Dei giovani operai afferma: “nulla vi è di più fraterno, di più coraggioso, di più lucido di loro, in una situazione opprimente. Il livello di cultura degli operai tedeschi è qualcosa di incredibile.” Weil è consapevole di quanto la struttura sociale determini per intero le condizioni di vita delle persone e si rammarica di come l’esclusione dal mondo del lavoro della maggioranza degli attivisti comunisti li renda meno incisivi, ancorché primo partito cittadino, nella battaglia politica.

Osserva come i nazisti siano formati da impiegati e contadini, operai delle ferrovie, piccola borghesia anticomunista, alcuni disoccupati, questi attrattati più dai benefici economici e abitativi provenienti dalla militanza nelle squadracce violente che dalle idee razziste, tutti soggiacenti agli interessi dei grandi capitalisti che finanziano il partito per timore dei bolscevichi, un coacervo di istanze diverse tenute insieme da un nazionalismo isterico e interclassista che cerca di nascondere la sostanza della struttura del partito per offrire una superficiale e appagante identità capace di riconoscere sempre e solo nell’altro il nemico. Weil coglie con profondità come si sentano forti di una forza che non è loro, ma sia quella della classe dominante, “sono nelle mani del grande capitale che ha come unico scopo quello di fermare, se necessario con uno sterminio sistematico, il movimento rivoluzionario. I nazisti vogliono il massacro organizzato, la soppressione di tutte le libertà e di ogni cultura”. Weil stigmatizza anche la sostanziale immobilità dei socialdemocratici, stretti nello scontro tra barbarie nazista e rivoluzione comunista, cercano, non riuscendoci, di salvare la Repubblica di Weimar e il suo sempre più asfittico riformismo, capace in ogni caso di controllare i sindacati, un coacervo burocratico-amministrativo-sindacale che ha saldato in una alleanza per certi aspetti anomala gli operai garantiti da un lavoro stabile e la borghesia moderata, grande e piccola. Scrive Weil: “Il riformismo tedesco ha regolato la vita degli operai per quanto è umanamente possibile all’interno del regime capitalista. Non ha liberato gli operai tedeschi dalle catene, ma ha procurato loro un po’ di benessere, qualche divertimento e varie possibilità di cultura.”

I comunisti appaiono deboli anche perché, sebbene raccolgano molti intellettuali, professori, scrittori, giornalisti, il partito come detto è formato da disoccupati, metà degli iscritti si sono uniti al partito solo nel 1931 e un altro 30% nel 1930, quindi di recente militanza. Per i comunisti la resistenza alla disperazione nasce dalla disciplina nello studio, i giovani disoccupati della KPD formano gruppi di lettura e di approfondimento dei classici del marxismo. Per di più la richiesta di una radicale trasformazione dell’apparato statale in senso socialista emargina i comunisti, schiacciati nell’angolo dalla convergenza tra socialdemocratici e nazisti di una proposta per la nazionalizzazione delle banche e di alcune industrie, senza intaccare il sistema statuale.

Nel mio libro “Berlino tra Ostalgie, Muro e città socialista”, ho raccontato quegli anni, la straordinaria vivacità culturale, l’eroicità dei comunisti nel contrastare il nazifascismo prima e dopo il suo avvento e nel contribuire alla Resistenza, una pagina sempre dimenticata dalla storiografia occidentale.

I socialdemocratici di Berlino faranno di tutto per contrastare i comunisti, ai quali rispondono i militanti, organizzati dal segretario cittadino Walter Ulbricht e dal segretario nazionale da Ernst Thalmann che morirà, dopo anni di prigione, nel campo di concentramento di Buchenwald. In quel 1932 Bertolt Brecht riempie le sale con i suoi spettacoli e insieme a Slatan Dudow gira coi ragazzi e i disoccupati della KPD a Berlino il film “Kulhe Wampe”, il solo film prodotto e realizzato dalla KPD, un assoluto capolavoro, il 17 giugno ’32 Albert Einstein, Heinrich Mann, fratello di Thomas, e Käthe Kollwitz scrivono una lettera aperta alla SPD e alla KPD con l'invito a formare una lista unitaria antifascista per l'elezione, Mann e la Kollwitz sono comunisti, come Anna Seghers e i giovani reporter che compongono la redazione di AIZ, Arbeiter Illustrierte Zeitung, Giornale Illustrato dei Lavoratori, uno strumento fortemente innovativo di comunicazione, grazie anche all’invenzione del fotomontaggio da parte di John Heartfield, amico di un altro protagonista della vita culturale del tempo, George Grosz.

Uno straordinario fermento culturale e politico, soffocato dall’avvento della barbarie nazista, ma capace, dopo la tragedia, di riannodare i fili spezzati, contribuendo alla nascita e allo sviluppo della DDR.