Pane, sicurezza e futuro, le Filippine di Duterte

di

Davide Rossi


Per vent’anni Rodrigo Duterte è stato sindaco di Davao a Mindanao. La crescita economica è stata sempre un terzo più alta rispetto al dato nazionale, la sicurezza dei cittadini garantita, così come il largo impegno in iniziative sociali per il diritto alla casa, alla scuola, al lavoro, alla salute. Il suo metodo è denghista, sicurezza e pane per i cittadini coniugate con uno sviluppo economico sotto il controllo dello stato e libero dalle ruberie delle multinazionali, questa ricetta ora la sta estendendo, con la vittoria alle presidenziali del 2016, a tutte le Filippine. Oggi Duterte ha settantun’anni ed è ancora amico di un suo professore del liceo, di soli sette anni più grande di lui, José Maria Sison, fondatore del Partito Comunista delle Filippine, nella cui organizzazione giovanile “Kabataang Makabayan” ha militato.

Duterte sta facendo schiantare un secolo di connivenze, sudditanze e furti perpetrati dagli statunitensi contro i filippini, la stampa liberal a stelle e strisce ovviamente strepita e orchestra la campagna planetaria diffamatoria contro il presidente filippino perché sta danneggiando gli interessi dei suoi inserzionisti pubblicitari e non solo. Le associazioni pseudo - umanitarie, quelle che usano la clava dei diritti umani per portare acqua ai poteri forti finanziario - speculativi e militari occidentali, vale la pena consigliare di rileggere “Contro i diritti umani” di Slavoj Zizek per chi ancora non ha capito come funzionano, gridano unanimi conto il presidente perché nella sua lotta contro la droga ha organizzato l’uccisione di settemila criminali in sei mesi di governo. Si sono dimenticati che le elezioni le ha vinte dicendo che ne avrebbe uccisi centomila. Duterte uccide gli spacciatori delle baraccopoli e proprio tra i più poveri ha larghi consensi, perché insieme alle richieste sociali i poveri rivendicano quella sicurezza senza cui non vi è benessere e serenità.

L’informazione liberal invece non dice una parola sulle battaglie di Duterte contro i monopoli e il secolare latifondismo di matrice feudale, che sta contrastando a colpi di decreti, innervosendo la casta dei proprietari terrieri diventata col tempo la grande borghesia assoggettata agli interessi stranieri. Lotta contro gli abusi e le ruberie di una gerarchia cattolica molto interessata alla conservazione dei suoi privilegi e poco alle necessità delle donne e degli uomini di una nazione di cento milioni di persone, massimamente povere e per un terzo minori di quattordici anni. “Io sfido la chiesa cattolica, voi siete pieni di merda. Voi puzzate, siete corrotti e tanto altro”, e ancora, “sono bigamo, come molti vescovi”, la curia di Manila chiede in regalo un fuoristrada e lui sbotta: “Figli di puttana, solo un idiota accetterebbe una richiesta simile mentre qui intorno è pieno di gente che muore di fame”, d’altronde in campagna elettorale aveva tuonato: “Volete credere ai preti? Non votate per me” e le elezioni nel paese più cattolico del mondo le ha stravinte ricordando che “non ci sono angeli a suonare la lira quando satana è in azione”. Su dio scherza: “so che non ha tempo di occuparsi delle cose di quaggiù. A quelle ci penso io.La chiesa reagisce, ma i fedeli vedono Duterte come il liberatore delle Filippine dai flagelli della criminalità e del terrorismo. Duterte non si ferma, se i poliziotti sono corrotti li rimuove e li sostituisce coi militari e continua la battaglia contro il narcotraffico. A chi gli contesta che si occupa dei piccoli spacciatori, ma non dei grandi commercianti che stanno dietro la droga, ha risposto che non può permettersi i caccia da combattimento per abbattere i loro jet privati, ma ha supportato per la prima volta nella storia delle Filippine la magistratura nell’avvio di processi che non rischiano di essere insabbiati per connivenza con il potere come in passato.

Duterte ha spazzato via decenni di politici corrotti e collusi coi predatori delle Filippine e del suo futuro, quelli che lo storico Alfred McCoy ha definito “un’accozzaglia di giocatori di basket, personalità televisive, stelle del cinema e golpisti falliti”.

Gli arrestati nella lotta alla criminalità sono stati in sei mesi oltre mezzo milione e il tasso di reati, sempre negli stessi mesi, si è dimezzato. Nessuno aveva mai fatto tanto in così poco tempo nella storia delle Filippine. Obama ovviamente lo ha criticato per la campagna antidroga appellandosi ai diritti umani, Duterte gli ha risposto che dovrebbe vergognarsi, gli Stati Uniti in oltre un secolo di neocolonialismo hanno mietuto morti, ucciso, torturato e seminato povertà in tutte le Filippine, senza mai rispondere di questi crimini contro l’umanità e di violazione dei diritti umani. Ai militari statunitensi Duterte ha chiesto piuttosto il ritiro del contingente e la restituzione delle basi, al momento è stato costretto ad accettare un minimo di attività congiunte già programmate dai suoi predecessori, ma il mandato di Duterte scade nel 2022, ha tempo per imporsi. A Pechino nel settembre 2016 ha detto: “Mi sono allineato al vostro indirizzo ideologico, e forse andrò anche in Russia per parlare con Putin e dirgli che siamo noi tre contro il mondo: la Cina, le Filippine e la Russia”, Xi Jinping e il governo cinese hanno concesso crediti per ventiquattro miliardi di dollari.

Lo accusano di essere maschilista, ma Mocha Uson, pop star e sex blogger, fondatrice del gruppo “Mocha Girls” lo sostiene e ricorda la sua correttezza quando hanno cantato a Davao. La stampa occidentale bolla Rodrigo Duterte come “pazzo” e “sanguinario”, ma lui certo non si lascia intimorire e pensa ai suoi cittadini, che ricambiano con un consenso crescente per le sue politiche. Fra qualche anno forse leggeremo in Europa qualche articolo meno aggressivo e più riflessivo, per il momento dobbiamo accontentarci di vederlo demonizzato, una sorte non diversa da quella subita da Hugo Chavez e Mahmud Ahmadinejad, accade a qualunque presidente nel mondo scelga l’antimperialismo, preferisca i diritti a casa, scuola, salute e lavoro per i suoi cittadini piuttosto che gli interessi speculativi delle multinazionali e creda migliore un mondo fondato sul multipolarismo invece che sui cannoni della NATO.