Futuro sovrano

di

Davide Rossi

 

Oggi i popoli chiedono il ritorno ad una autorità chiara e identificabile per trovare le risposte ai problemi e un senso di legittimità per il sempre più precario stato di cose presenti, le nefandezze del liberalismo politico che ha solo aperto praterie per l’abnorme sviluppo della diseguaglianza, favorendo l’omologazione consumistica e il capitalismo che ha generato profitti per pochi e miserevole vita precaria per tutti gli altri, mostrando per intero come l’idea liberale di stato e di politica sia al tramonto. Nel ricercare il senso dell’autorità e quindi della decisione sovrana tanto a destra, quanto a sinistra, ci si richiama a un ordine creato dalla fi­losofia politica antica e medioevale in cui è inscritto il generale senso di cittadinanza. I marxisti ne offrono una visione per superamento, ovvero attraverso la costruzione di una società fondata sull’uguaglianza, le destre riattivando il percorso identitario dei valori tradizionali. Entrambe queste visioni presuppongono un’unità reale del popolo e la sua immediata connessione con la forza politica al potere e con chi la guida.

Materiale e simbolico concorrono così a scardinare la farsesca alternanza tra forze liberali di centro-destra e di centro-sinistra, mettendo sotto scacco quel liberalismo che uscito distrutto dalla ferita epocale della Grande Guerra, da cui erano scaturiti un nuovo mondo e ordini politici inauditi, quelli che la critica liberale definisce sbrigativamente come totalitarismi, mentre rappresentano da un lato l’affermazione delle masse per secoli oppresse attraverso il socialismo e dall’altro il contenimento di quelle istanze espresse dalle masse con il compromesso tra le borghesie e i fascismi. Il liberalismo si presentato poi vincitore in Occidente alla fine del secondo conflitto mondiale, quindi su tutta la terra dopo la fine della Guerra Fredda, non aveva fatto i conti con l’emergere di una nuova istanza di carattere multipolare che nasceva da nazioni più capaci di esprimere una efficace capacità di sintesi tra richieste popolari e livello decisionale e socialmente giuste, come la Cina socialista, la Russia di Putin, il Venezuela bolivariano e l’Iran della Rivoluzione islamica.

Si è scoperto così che la storia non è finita, ma è a pieno titolo entrata nella guerra successiva a quella Fredda, la guerra attualmente in corso, uno scontro mediatico ed economico che vede contrapposto l’Occidente contro le nazioni sopracitate, volte alla costruzione di un mondo multipolare e di pace, nel quale, secondo le indicazioni del pensiero cinese, solo nella crescita e nel benessere di tutti, nessuno escluso, sta il benessere di ciascuno, una visione diametralmente opposta al furto delle materie prime energetiche e alimentari praticato dall’Occidente, che poi maschera sotto la bandiera liberale della libertà il motivo delle diseguaglianze.

Il decisionismo, il potere che è capace di rispondere ai bisogni dei cittadini senza gli infingimenti liberali, diventa così il modello per masse sterminate di donne e uomini, non solo di quei paesi in cui con largo consenso è praticato, ma anche di un numero sempre crescente di cittadini dell’Occidente. In questo frangente si può allora azzardare il disvelamento del senso del divenire. Ecco allora che riemerge, o meglio irrompe ostinatamente, la dimensione del sentimento religioso come parte dell’identità personale e collettiva dei singoli e dei popoli e il sacro come parte della politica, nonché a volte della sacralizzazione dell’agire politico stesso, ovvero la sua afferenza a una dimensione mitico - antropologica, capace di travalicare e superare la mediocrità della contingenza. Non è un caso che il socialismo cinese, anche quello odierno di Xi Jinping, nella sua profonda natura marxista, assuma l’aspetto evidente di una escatologia e di un messianismo laicizzati che si prefiggono un diverso benessere alla fine di un lungo cammino. Iosif Stalin d’altronde aveva fatto tutto il possibile per coniugare il mito della Russia e di Mosca come “Terza Roma” con la tradi­zione bolscevica. La divaricazione tra patriottismo e internazionalismo da un lato e cosmopolitismo dall’altro è deflagrante.

Nel Novecento l’economia ha provato a presentarsi in Occidente come la suprema forma di compiuto sviluppo, uno sviluppo – non un progresso come ricordava Pasolini - dai tratti socialdemocratici e redistributivi. Tuttavia il capitalismo selvaggio speculativo e finanziario seguito alla fine della Guerra Fredda ha ridistribuito miseria e sfruttamento e i popoli si sono avvicinati allora a ideologie che non si contrapponessero alla dimensione del sacro. Ovviamente tale idea di politica confligge con l’individualismo liberale divenuto solitudine, in cui le mode portano a un conformismo omologante. Il cittadino si sente maggiormente tale in una società in cui il senso della comunità e dello Stato, sminuiti dal liberalismo, sono vivi e in cui è ben consapevole di essere parte di un tutto a cui convintamente aderisce e che lo tutela, piuttosto che essere monade abbandonata a se stessa nel vortice della solitudine precarizzata e solipsistica dei social network, una società in cui il denaro diventa metro e giudizio di tutto. Qualcuno potrà affermare che tale autocoscienza popolare, sia ipso facto immediatamente autoritaria, ma in realtà esprime prima di tutto il rigetto della mercificazione delle relazioni sociali.

Già Albert Camus ne “L’uomo in rivolta” affermava che esiste un conservatorismo antropologico che nulla ha a che vedere con il mantenimento dei rapporti sociali esistenti e che mira alla preservazione dell’umanità dell’uomo di fronte alla spersonalizzazio­ne dell’epoca storica.

Marx ha parlato a lungo della relazione tra alienazione umana e rapporto sociale capitalistico e nel “Manifesto del Partito Comunista” scrive: “La borghesia ha distrutto senza pietà tutti quei legami multicolori che nel regime feudale stringevano gli uomini ai loro naturali superiori e non ha la­sciato fra uomo e uomo altro vincolo al di fuori del nudo interesse e dello spietato pagamento in contanti. Ha trasformato la libertà personale in un semplice valore di scambio uno sfruttamento aperto, senza pudori, diret­to e brutale.” Lenin in “Stato e rivoluzione” ribadisce che la democrazia liberale “è sempre compresa nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre, in fondo, una democrazia per la minoranza, per le sole classi possidenti, per i soli ricchi.” Oggi è sempre più attuale la critica marxista alla società liberale, intesa come l’unione tra rapporti sociali e ideologie dominanti in posizione sovrastrutturale rispetto all’accentra­mento privatistico dei mezzi di produzione e dell’appropriazione impe­rialistica degli spazi geografici ed economici, oggi il “noi” è ogni giorno più forte dell’ “io” anche nello stanco e impaurito Occidente. La sovranità a venire è un atto rivoluzionario contro il sistema libe­rale e liberista, è la riappropriazione collettiva di quel senso di cittadinanza che, smarritosi in Occidente e riscoperto nel resto del mondo, torna ad essere attuale anche agli occhi delle donne e degli uomini occidentali.